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Anno edizione: 2019
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Il saggio, scritto nel 1904, non è facilmente classificabile come dissertazione filosofica. Infatti, Santayana nega all’estetica la definizione di categoria scientifica, separata da altri specifici rami del sapere. Essa può essere ritenuta un ramo particolare della psicologia, dell’etica, della storia dell’arte, della critica letteraria: eppure travalica tutte queste discipline, pur essendo apparentata a ciascuna di esse. “L’esperienza estetica è così estesa, multiforme e così sottilmente diffusa in ogni aspetto della vita che, come la vita stessa, estende la riflessione in diverse prospettive”. Poiché riguarda la bellezza, appartiene sia al mondo reale che a quello ideale, agli oggetti concreti come alle loro immagini e al loro valore astratto. Musica e poesia non si possono toccare, un dipinto si può solo guardare: eppure i nostri sensi vengono sollecitati, l’immaginazione è stimolata, la ragione viene coinvolta in un giudizio quando ci rapportiamo ad essi. “I regno del bello non è un recinto scientifico; al pari della religione è un campo di esperienze sublimate che diverse scienze possono parzialmente attraversare, ma nessuna può interamente ricoprire”. Il piacere estetico, sia che nasca dall’ osservazione o invece dalla creazione, perfeziona e nobilita qualsiasi altro valore, anche quello utilitaristico, perché si basa sempre su qualcosa di sostanziale e razionale, e integra ogni attività umana, affermandone con pienezza la vitalità e la spontaneità immaginativa. Pertanto, l’estetica per Santayana non ha validità e spessore come disciplina autonoma, bensì come esperienza che coinvolge ogni aspetto della vita, rendendola più armoniosa, più giusta, bella e buona, in sintonia con la felicità a cui deve tendere il moto perpetuo dell’esistenza universale.
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