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Anno edizione: 2014
Anno edizione: 2015
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David DiSalvo è un guastafeste.
Da bambino, siamo pronti a scommettere, David era uno di quelli che in classe tiravano fuori dal sacchetto meravigliosi dolci fatti in casa, lasciando a salivare invidiosi tutti quei compagni di classe che le mamme avevano munito di una banana o una mela, assieme magari a un pacchetto di crackers.
Basta guardare DiSalvo nelle foto che lo ritraggono in carne e soddisfatto, per capire quanto le origini italiane del nostro gli abbiano lasciato in eredità un pericoloso penchant per carboidrati, zuccheri e amidi, se opportunamente impiattati e presentati a tavola.
Forte di un simile retaggio, DiSalvo si è ravveduto sulla via di Damasco giusto in tempo per cominciare a rimproverare noi, quando eravamo lì lì per poterci godere la nostra tavoletta di cioccolato.
Ha scritto un libro dal titolo tantalico, “Cosa rende felice il tuo cervello (e perché devi fare il contrario)”, proclamandosi con quella pubblicazione massimo alfiere di un nuovo genere editoriale, a metà fra il saggio divulgativo di scienza e il bignami di sociologia.
La tesi contenuta in quel bestseller è la stessa su cui poggia anche questo nuovo, croccante (as)saggio di science help che interesserà chiunque abbia a cuore il proprio benessere e sia curioso di scoprire cosa si cela dietro il sex appeal irresistibile di dolci, bevande gassate e costate al sangue o ben cotte.
Il messaggio lanciato dal giornalista non potrebbe essere più chiaro, e somiglia non poco a un grido d’allarme: il cervello umano è frutto di milioni di anni di evoluzione, è uno strumento impostato e tarato per farci sopravvivere nel miglior modo possibile nelle condizioni ambientali più eterogenee.
Ma dovremmo tutti stare attenti a quel che ci suggerisce di fare quando lo portiamo a spasso fra le corsie di un supermercato: perché, anche se quell’ingranaggio versatile e potentissimo può farci prendere decisioni di vitale importanza nel volgere di un istante – come per esempio farci schizzare sul bagnasciuga quando vediamo una pinna zigzagante che affiora dall’acqua e si dirige verso di noi – nessuno ha preparato il cervello a destreggiarsi fra la sovrabbondanza di stimoli che non rispondono più al mero soddisfacimento di esigenze primarie.
Il consumismo – o la “supermercatizzazione del mondo” - insomma, è una gran brutta bestia, specialmente quando si tratta di scegliere, in un’epoca come questa, il carburante con cui alimentare il vascello sul quale il cervello è suo malgrado costretto a viaggiare: il corpo.
E dunque questo libro va inteso come un portolano da consultare ogni volta che si cerca di darsi una regola, e di indulgere poi in mille piccoli strappi. Non perché non ci si possano concedere alcuni piaceri, ma perché è bene sapere cosa è contenuto nelle uova di cui si servono i fast food, o su quali recettori agisca esattamente la caffeina; è giusto conoscere i reali effetti dell’alcool sul cervello, ma è giusto anche sfatare il mito secondo il quale la carne rossa farebbe male al cervello (anche se il consumo eccessivo presenta una correlazione con la disfunzione erettile).
Titolo e sottotitolo del libro, va detto, rischiano di confondere le acque più di quanto non aiutino a comprendere la potenziale utilità di questo libro. Perché se è vero che nella maggior parte degli articoli si racconta del “dark side of the food”, c’è spazio anche per approfondimenti eterogenei su questioni che esulano da cucine e sale da pranzo, com’è il caso dei capitoli dedicati allo shopping o ai farmaci.
Il repertorio è ampio, ed è sciorinato in capitoli agilissimi per mole, con uno stile brillante ma mai superficiale. Che è all’incirca quanto di meglio si possa dire di un libro come questo.
Scopriremo, fra le altre cose, che chi ama la cioccolata è probabilmente una persona dalla vocazione intimamente egualitaria; che prima di entrare in un negozio è bene stressarsi almeno un po’, dato che autorevoli studi dimostrano la correlazione diretta fra rilassamento e propensione all’acquisto; che le riviste di moda vanno consultate con una parsimonia almeno pari a quella che i loro protagonisti mostrano di praticare nei confronti del cibo, perché l’autostima è un carburante troppo prezioso perché anche solo una goccia ne vada sprecata.
Insomma, la carne al fuoco è davvero tanta, e promette di soddisfare tutti i palati. Tranquilli, però: non è carne rossa.
A cura di Wuz.it
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