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“Certezze” è un’opera prima che a cui, a mio giudizio, manca l’omogeneità e la fluidità della narrazione che l’autrice raggiungerà ne “L’eco delle città vuote”. Non necessariamente questo rappresenta un difetto, perché può essere letto come la rappresentazione della deflagrazione che la guerra produce nelle vite dei personaggi, cambiando l’ordine delle cose, la traiettoria del domani e costringendo il futuro a procedere sulla base della ricomposizione del passato, alla ricerca del senso del dolore. I personaggi di “Certezze” sono tutti legati tra loro da sentimenti veri e profondi, ma allo stesso tempo qualcosa li rende estranei per quelle verità che sono state taciute nel tempo al fine di proteggere, di non ostacolare il cammino della rinascita, di estromettere il dolore del passato dal presente. La storia è dunque una ricerca del non detto, dei pezzi mancanti dentro scatole chiuse, lettere in codice da decifrare. “Certezze” é procedere nel disorientamento tra concetto di rimozione e quello di tacere. “E’ quello che sostiene Nietzsche. È la capacità di dimenticare a darci pace.”. Ha un bel dire Nietzsche. E’ contorto il nostro rapporto con il ricordo e il dolore, con il disordine che creano dentro di noi. Il passato ci insegue e ci e mette alle strette costringendoci a guardare dentro la piaga perché diventi parte integrante del nostro essere al mondo. No, l’oblio è una chimera, e sui ricordi bisogna imparare a stare in equilibrio. Diventa, così, sorprendente e interessantissimo il riferimento scientifico ai frattali e al senso di confine, paragonati alla nostra possibilità di intuire l’immensità in cui siamo immersi ma di gestirne solo la piccola frazione che di quella immensità è una rappresentazione. Sono pagine intense le ultime, e ci portano verso un finale che svela il senso del titolo. Un finale liberatorio che restituisce il valore del limite, del mistero e invita ad accettare di non poterlo svelare.
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