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L'analitico saggio di Federica Zullo sull'opera del maggiore scrittore e intellettuale indiano della contemporaneità ripercorre quella che potrebbe definirsi "la prima linea" del pensiero dell'autore: ovvero la responsabilità dello scrittore, il lucido e coerente impegno civile che si declina nell'interesse per problematiche sociali, politiche e ambientaliste, e la maestria del romanziere. A partire dalla più recente produzione saggistica di Ghosh (Circostanze incendiarie), Zullo fissa alcuni principi teorici quali "il peso delle parole", "una scrittura di resistenza alla violenza", la sottile lotta ideologica all'emarginazione "di altri" sulla base di labili e pretestuosi confini religiosi, etnici o geografici, per restituire al lettore italiano il profilo di un vero intellettuale organico, pienamente immerso, cioè, nel dibattito politico attuale.
L'autrice è attenta nel legare l'opera di Ghosh alla tradizione letteraria indiana passata e presente, ma anche nel contestualizzare le problematiche presentate dallo scrittore in senso storico-cronologico e in relazione alla contemporaneità. Alcune parole chiave fanno da cardine all'opera. I concetti di "violenza", "paura", "traumi della Storia" (dalla "Partition" alla guerra del Golfo) fungono da contesto per l'analisi di opere quali Le linee d'ombra, Il palazzo degli specchi e Il cromosoma Calcutta; "Storia", "Scienza", "memoria" e "frontiere" si rilevano essere linee di ricerca trasversali a varie opere di Ghosh, da Lo schiavo del manoscritto a Il paese delle maree; "comunità", "nazione", "identità periferiche" emergono quali nuclei critici del discorso letterario-politico di Ghosh, attorno ai quali Zullo costruisce il proprio percorso di lettura. La sua non è un'analisi tematica, bensì problematica dell'opera di Ghosh, sempre attenta a coniugare forza immaginativa e discorso civile, che fa capo per esempio al gruppo di studio dei cosiddetti Subaltern Studies cui Ghosh aderisce. Non passa inosservata, poi, la costante ed esplicita critica al colonialismo Britannico (Il palazzo degli specchi e Mare di papaveri), cui Ghosh ricollega l'endemica divisione interna dell'India e il suo mancato sviluppo economico in passato a causa del monopolio imposto dal capitalismo occidentale, e la sua aggressività anche militare lungo confini che sono retaggio di geografie coloniali. Infine, l'inventiva romanzesca, il senso di avventura, la capacità di ricostruzione storica, l'originalità di certi personaggi vengono esaminati per restituire il ritratto di un artista che si definisce, nell'intervista che chiude questa indagine critica, "espatriato" e che è sempre anche interprete e "traduttore" del passato, del proprio mondo (Calcutta o le Sundarbans), ma anche di molte lingue e sonorità, "linguaggi impuri, interstiziali" come il lascari o il pidgin, o è semplicemente espressione di una voce che opera avendo molti vocabolari nella testa.
Questo saggio, in ultima analisi, mette in luce come l'unico grande progetto romanzesco e saggistico di Ghosh sia la rappresentazione dell'India dal suo passato coloniale al suo approdo al mondo della globalizzazione internazionale tenendo sempre ben presente i costi umani (schiavitù, lotte comunitarie e diaspora), storici (uno sviluppo tarpato dal colonialismo), ecologici (sfruttamento esasperato di territori, catastrofi naturali) di chi vive ai margini, fuori dalle rotte ufficiali della storia, lungo confini assediati da forze militari o economiche che ne minacciano la dignità. Il saggio, corredato da una ricca bibliografia che tiene conto della ricezione di Ghosh sia in Occidente sia in India sia tra gli studiosi diasporici, si propone quale utile strumento accademico per studiosi ed estimatori dell'opera di questo autore. Carmen Concilio
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