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avevo grandissime aspettative su questo libro perché avevo letto la poesia, quella della copertina e mi aveva colpito molto. Purtroppo le mie aspettative sono state spezzate e distrutte. A mio avviso, le poesie contenute in questo libro/raccolta non lasciano il segno (eccetto 3/4). Non proseguo oltre perché la poesia è estremamente intima e non voglio magari di rispetto ai sentimenti del poeta
Niente di che
Raccolta di liriche dell'autore, davvero consigliato.
Recensioni
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Il recupero memoriale messo in atto da Michele Mari nelle sue straordinarie incursioni nel territorio dell'infanzia e dell'adolescenza di Euridice aveva un cane (Bompiani, 1993) e Tu, sanguinosa infanzia (Mondadori, 1997) rispondeva a un'esigenza privata e feroce, a un movimento contrario alla malinconia e al patetico: "Tenere tenere tenere, tenere stretto fino alla morte ciò che hai amato anche solo un attimo". È questo il meccanismo sotteso anche all'esordio poetico dello scrittore, che vuole tenere stretta una storia d'amore nata sui banchi del liceo e vissuta solo nel sogno, a costo di sembrare ridicolo o folle. Del resto, la scrittura è per Mari, come ha dichiarato recentemente in un'intervista, "un modo per maneggiare il magma incandescente della vita senza ustionarsi".
Il titolo della raccolta fa riferimento alla vicenda leggendaria di ambientazione medievale (che rimanda a un famoso film di Richard Donner interpretato da Michelle Pfeiffer) in cui i due amanti Etienne Navarre e Isabeau d'Anjou sono condannati da una maledizione a non incontrarsi mai: di giorno lei è uno splendido falco che lui accudisce, di notte lui si trasforma in un feroce lupo grigio, addomesticato solo dalle carezze di lei. Un canzoniere che ha al suo centro il tema del mancato incontro fra il poeta e l'amata, quindi, declinato attraverso le forme di un'ossessione molto privata e nevrotica ma anche attraverso i modi, estremamente colti, della grande tradizione latina e medievale. L'amore non ricambiato, il senso dell'esclusione e della relegazione in un limbo fatto di inutile attese viene cantato attraverso versi che richiamano altri versi ("Verrà la morte e avrà i miei occhi / ma dentro / ci troverà i tuoi") ma anche formule liturgiche ("Ma di' soltanto una parola e l'anima mia sarà salvata"), riferimenti alle fiabe ("Puntavo sulla paglia o sul legname / ma dei tre porcellini / tuo marito / doveva essere quello in salopette con la cazzuola") e incursioni nel mondo cinematografico e della pubblicità ("Fra il mulino bianco / e gli anelli di Saturno / la tua scelta era scontata"). Talvolta prevalgono i toni di un'atmosfera cupa, in cui si agitano i fantasmi del rifiuto ed emerge la consapevolezza del consumo di un'esistenza in un inutile attesa: "Se fin dall'inizio mi avessero informato / che dopo più di trent'anni / senza aver niente in cambio / ancora ti avrei amata / avrei risposto / 'Logico e piano, sir'". Talvolta il tormento esplode nella paura di una caduta nel patetico, nell'orrore di fissare lo sguardo in quello che non è stato, nell'inespresso e nel represso di questa storia d'amore non vissuta: "Immagina / quanto male mi faccia / pensare a un figlio in cui congiunti / fossero i nostri occhi".
Forse tuttavia gli esiti migliori di questo esercizio di stile, fra ironia e disperazione, vengono raggiunti quando il poeta lascia esplodere la rabbia della rivendicazione, il senso di una rivalsa per la sua continua cancellazione dalla vita di lei: "Mi concedi un posto nel tuo cuore / ma non nella tua vita. / Allora ti avverto che là dentro / farò un tale casino / che il cuore rivelatore di Poe / sarà al confronto / un cuore silenzioso". Impossibile non pensare alle rime petrose di Dante, ispirate dallo stesso sentimento di vendetta, ma il sovrappiù di violenza, smorzato dall'ironia, non arriva in questo caso a colpire la donna, sempre allontanata dallo sforzo di idealizzazione. Per questo il centoduesimo componimento, un incantevole lunghissimo stornello, si chiude con un'orgogliosa dichiarazione di gusto gozzaniano, con la quale il poeta difende la sua scelta di fedeltà a un sogno: "Ma il fiore mio più bello / il fior della mia vita / il fior che non sfiorisce / è il fiore che non sfioro".
Monica Bardi
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