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scheda di Concilio, C., L'Indice 1993, n.11
"Sembra miracoloso che i racconti di Zoë abbiano potuto vedere la luce", scrive Dorothy Driver, studiosa di letteratura e problematiche femminili in Sudafrica, nell'interessante introduzione a questo volume che ci immerge nel mondo dei Griqua, una delle etnie indigene della zona del Capo che ha dato vita a una società mista in seguito all'incontro con i primi coloni olandesi. "Nessuno prima di lei ha scritto dal punto di vista di una giovane donna con un'educazione 'coloured' in Sudafrica", prosegue la nota introduttiva, ponendo l'accento sul fatto che l'autrice è una donna ed è una meticcia. L'educazione scolastica, gli anni dell'università in Sudafrica prima, in Inghilterra poi, segnano la via dell'emancipazione da un mondo segregato, in cui chi può permettersi di studiare in una scuola bianca è pur sempre un privilegiato traditore, e questo basta a giustificare lo scherno dei coetanei. Ma questa stessa educazione garantisce il ritorno, attraverso la scrittura appunto, a quel mondo che guarda con sospetto chi se ne era allontanato, così come la madre della narratrice guarda con vergogna i "racconti tremendi" scritti dalla figlia quando era lontana. L'elemento autobiografico è presente in modo discreto, ludico, appena percepibile dietro l'aggettivo "tremendi"; mentre le vicende politiche che coinvolgono l'intera comunità sono presentate attraverso la storia emblematica di singoli individui, simboli del disagio collettivo. Il disagio, dunque, ma anche la poesia, di un altro Sudafrica, "non bianco", è l'orizzonte su cui fissa per noi lo sguardo Zoë Wicomb.
Dieci racconti legati da un'unica voce narrante, Frieda Shenton, a volte protagonista, a volte personaggio secondario di una storia del Sudafrica e del popolo nero. I racconti ripercorrono, in ordine cronologico, gli anni della formazione di Frieda, la sua partenza per le scuole superiori, il suo sviluppo sessuale, l'istruzione universitaria, l'addio al Sudafrica e i ritorni dall'Inghilterra per rivedere amici e parenti. L'autrice gioca con la sua autobiografia, alternando realtà e fiction, in uno stile ironico, malizioso e distaccato che non impedisce però l'ingresso della tragedia, che compare fulminea in immagini conclusive, a siglare il destino dell'esistenza umana.
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