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El Caballero de Olmedo (Alonso) deve essere pure toreador, poiché lo vediamo giostrare nell’arena di Medina del Campo, dove riceve le lodi anche di re Don Giovanni II. Ed è proprio alla Feria di Medina che il cavaliere scorge doña Inés tra la folla; amore a prima vista, ovvio. Così ingaggia una fattucchiera, Fabia, per recarle una lettera d’amore. Fabia vende bene il prodotto a Inés, paragonando il Cavaliere a Ettore, ad Achille e pure ad Adone. Qui inizia un fraseggiare amoroso, ridondante, un po’ barocco e forse sconfinante nel rococò. Il lettore si domanda se Lope abbia perso l’ispirazione, dato che l’intreccio della commedia risulta simile a tanti altri intrighi amorosi tipici dell’epoca e sfruttati nei secoli a venire (vedi Goldoni, ma anche gli spumeggianti lavori di Beaumarchais che ispirarono Mozart e Rossini). Nei primi due atti gli episodi si susseguono proprio su questa falsariga, con tipici equivoci di queste commedie, quando, ad esempio, il nastro verde legato alla cancellata di casa Inés, che nottetempo El Caballero avrebbe dovuto carpire e annodare come nastro sul cappello, viene invece rubato da Rodrigo, avversario in amore, col degno compare Fernando. I due se lo dividono e girano con questa coccarda monocolore sul cappello, mandando in tilt vuoi Alonso, vuoi Inés. Secondo gli schemi tradizionali l’equivoco poteva essere facilmente risolto e la commedia giungere in carrozza al lieto fine, con scorno di Lope e del lettore. Il terzo atto però capovolge lo scenario e gli schemi convenzionali. La commedia finirà in tragedia con il povero Alonso che incontra pure il suo spettro, come nelle tragedie greche o come in Shakespeare. Bravo Lope, con un colpo d’ala hai espugnato la rocca e portato a termine un’impresa ben più degna dei film-commedie agrodolci con Doris Day made in USA (anni ’50 e ’60)! Inoltre immaginiamo Inés nera di pelo combattiva, e non bionda ossigenata e remissiva come Doris, il che non nuoce.
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