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La causa
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causa
Una causa civile iniziata dinanzi al Tribunale di Roma nel lontano 1950 e rimasta quiescente per decenni viene improvvisamente riattivata da un avvocato privo di scrupoli. Nessuno sa quale ne fosse l'oggetto: il tribunale ha mandato al macero i vecchi faldoni e registri cartacei e nel 1950 il processo telematico ancora non esisteva. Anche negli studi legali non resta traccia di quel contenzioso: la carta è stata bandita ovunque. Per celebrare la causa occorrerà ricostruirne tutti gli atti, ma chi mai potrà garantirne l'autenticità? Che attendibilità potrà avere un processo fatto di carta, dopo che quella carta è andata distrutta?
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Autore:
Editore:
Formato:
Testo in italiano
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Compatibilità:
Tutti i dispositivi (eccetto Kindle) Scopri di più
Pagine della versione a stampa:
152 p.
Layout:
Reflowable
EAN:
9788832257038
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Elisabetta Macca
05 febbraio 2022
Avvincente, onirico ma al tempo stesso vero
Questo breve romanzo, ironico e tagliente, contiene più verità sul funzionamento della macchina processuale e sui possibili volti della giustizia di tante dissertazioni messe insieme. Per questo, dovrebbe essere imperdibile per pratici e teorici del diritto ma andrebbe consigliato anche agli studenti di giurisprudenza. Intendiamoci, non si tratta di un libro per tutti. La scrittura è elevata e seleziona quindi i suoi lettori. Ma, se sei disposto a lasciarti accompagnare per mano nei meandri del disincantato universo di Capponi, la ricompensa è assicurata e, verso metà del libro, ti troverai immerso in una realtà che si confonde con il sogno ... soltanto per scoprirsi ancor più vera. Un bagno nelle contraddizioni del diritto, insomma, ma anche nella vera letteratura. Consigliato!
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Luca Maria Petrone
11 ottobre 2019
Subito dopo aver finito di leggere l’ultimo libro di Bruno Capponi: “la Causa”, sono rimasto con quella voglia di sapere davvero come va a finire. Si badi, il libro è compiuto, avvincente anche fantastico. Di quella fantasia giuridico-letteraria che non t’immagini. Si presta a diversi livelli di lettura e ciascun lettore può trarne il proprio messaggio: sociologico, antropologico, di politica giudiziaria e di politica forense, anche di organizzazione militare, architettonico, culinario (venendo in rilievo la distinzione tra le freselle, il pan bagnato e la panzanella). Un Capponi che stupisce di nuovo. Diverso dagli altri romanzi. Sempre realista e a questo punto “libero” nell'esprimere, senza veli, quel giudizio sull'amministrazione della giustizia osservata da varie prospettive: del Presidente del Tribunale di Roma, che parifica il funzionamento del Tribunale alla digestione umana (“tanto entra e tanto esce”); del libero docente (incompiuto) che ne dà una visione astratta e forse incantata, rimasta a quando ob torto collo ha dovuto lasciare la professione. Del CSM in una visione feroce del malfunzionamento dell’organo di autogoverno della magistratura. Familiare (di una famiglia sgretolata), sintetizzata dall’irriverenza della Zia Tina che, forte della sua cultura spicciola da finta massaia, riduce a poltiglia le teorie dello zio Peppino, libero docente. Troppo semplice sarebbe bollare il romanzo come denigratorio della classe forense, sebbene gli avvocati rappresentati non sono del miglior lignaggio. Capponi li inserisce bene nella decadenza completa del sistema giudiziario, che parte dall'abbassamento del livello delle sentenze, segnalando le differenze che vi sono tra quelle dei giorni nostri e le sentenze degli anni ’50 del secolo scorso. La “mal sopportata” presenza dei Giudici Onorari; le differenze tra gli stessi. Ciò nonostante la macchina va avanti, anche se gli operatori della giustizia e in particolare i giudici non riescono a “conoscere davvero il me
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