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Anno edizione: 2011
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A Marcinelle, nel distretto di Charleroi, in Belgio, l’8 agosto 1956 avviene un tragico incidente minerario: un carrello per il trasporto del carbone, sistemato male su un elevatore, s’incastra nel pozzo tranciando i condotti dell’olio sotto pressione e i cavi elettrici. Una scintilla causa uno spaventoso incendio: a 975 metri di profondità muoiono 262 minatori, di cui più della metà, 136, sono italiani. Soccombono al fumo e alle fiamme, tanto che in molti casi è impossibile identificare i corpi. Sono emigrati di tutte le regioni italiane, che hanno accettato il contratto di manodopera in cambio di carbone, mentre l’Italia cerca di risollevarsi dalle ferite della guerra. Il libro raccoglie le testimonianze dei sopravvissuti e dei loro parenti, soprattutto figli, bambini al tempo della catastrofe. Raccontano i loro ricordi nel linguaggio faticoso usato anche oggi dagli emigrati di terza generazione, anche se istruiti: un misto d’italiano, dialetto del paese dei nonni, nuova lingua straniera, ormai divenuta la propria. La tragedia è vista soprattutto dall’esterno, perché solo tredici minatori di turno quella mattina scamparono al disastro: il fumo, le urla, la paura, la consapevolezza che il loro congiunto o compagno di lavoro non sarebbe mai tornato. Raccontano anche la vita in miniera, la solidarietà fra compagni, perché la consapevolezza del pericolo e delle proprie responsabilità, anche nei confronti degli altri, avvicinava le persone. Molti erano contenti di avere trovato un lavoro che consentiva di sfuggire alla miseria del paese e di vivere dignitosamente con le loro famiglie. In miniera si muore anche adesso nei paesi in via di sviluppo ma misure di sicurezza migliori consentono maggiori possibilità di sopravvivenza, come nella miniera di oro e rame di S. Josè, in Cile. Molti emigrati sono rimasti in Belgio, che considerano ormai il loro paese, ma la ferita del ricordo è indelebile. Il libro è un pezzo di storia italiana coinvolgente ed emozionante.
È l'8 agosto 1956 a Marcinelle, nei pressi di Charleroi, il turno di giorno è da poco iniziato alla miniera di carbone del Bois du Cazier; in profondità c'è poca luce che stranamente invece non manca in superficie, perché la giornata non è, come quasi sempre, grigia, ma c'è un bel cielo azzurro. All'improvviso dense volute di fumo si sprigionano all'uscita del pozzo numero 1: è da poco iniziato un disastro che condurrà alla morte 262 dei 274 uomini impegnati al lavoro e di questi 262 ben 136 sono immigrati italiani. È la catastròfa, una parola metà dialetto e metà francese, con cui verrà ricordata questa tragedia e di essa parla Paolo Di Stefano in questo libro, frutto di ricerche, di interviste ad alcuni dei pochi superstiti e ai familiari delle vittime, un coro di voci che, se non reclama più giustizia, però si leva affinché non si dimentichi, non cada nell'oblio, come del resto stava accadendo, a tanti altri fatti luttuosi accaduti e che hanno riguardato nostri connazionali all'estero e in patria. A fronte di questa umanità dolente troviamo i freddi verbali, le perizie, le parole vuote, pregne di retorica, dei nostri politici, fra i quali Giuseppe Saragat e Giovanni Leone. Braccia contro carbone, schiavi contro l'energia per le fabbriche dei nostri industriali, gente che partiva dal paese senza aver nemmeno nulla da mangiare durante il viaggio, in fuga dalla miseria verso le fauci della miniera. Dobbiamo ricordarci di questi nostri emigranti, l'Italia deve a loro molto di più di quanto - in pratica nulla -ha fino ad ora loro dato; con il loro duro lavoro, con il loro sacrificio, hanno fatto ritrovare alla loro nazione quella dignità che una guerra insensata aveva cancellato. Da leggere, per riflettere, ma soprattutto per non dimenticare.
Un reportage di voci per testimoniare una tragedia che rischia di finire dimenticata. Non facilissimo da leggere, non tanto per il tipo di "montaggio" delle testimonianze, quanto per la forte emozione che spesso destano queste. Sono storie che dovrebbero conoscere soprattutto i giovani, ma dubito che tra loro abbiano sufficiente diffusione.
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