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Anno edizione: 2019
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Devo ricordarmi di non prestare più attenzione alle recensioni sensazionalistiche del NY Times. Questo libro di racconti non mi lascia niente. Può essere che non l'abbia compreso? Sì. Vorrei essere rimborsato? Pure. Mi sento di sconsigliarlo.
"Cat Person" è una raccolta di dodici racconti dell'esordiente scrittrice americana Kristen Roupenian. Un caso letterario che ha appassionato molti lettori, a partire dal racconto che, nella traduzione italiana, dà il titolo al volume, in lingua originale "You know you want this". Anch'io mi sono lasciata attrarre dal grande successo ottenuto dal racconto sul New Yorker ed effettivamente ho trovato ciò che mi aspettavo in esso: una spietata e realistica analisi delle relazioni tra uomo e donna in questo millennio, fatto di internet e comunicazione superficiale. Ciò che, tuttavia, mi ha molto sorpresa è la raccolta nel suo complesso. L'occhio che indugia sulle relazioni tra esseri umani non solo è molto realistico, ma assume contorni spesso grotteschi e inquietanti, col risultato di ottenere un effetto straniante e allo stesso tempo ammaliante. Tra resoconti, fiabe dark e racconti più lineari, Roupenian riesce a catturare l'attenzione del lettore con la sua penna, pur essendo alcuni racconti meno riusciti di altri. Filo conduttore di questa raccolta è rappresentato dal desiderio, declinato in tutte le sue sfumature, sessuali e materiali, che si adagia su un altro macrotema importante: il corpo. Un corpo desiderato, appunto, o ancora smembrato, vuoto, dilaniato. Un corpo lontano da tutte le sue rappresentazioni più edulcorate e zuccherine. Lettura estremamente consigliata per gli appassionati di racconti e letteratura americana.
"Cat Person" (titolo originale: "You Know You Want This") è una raccolta di dodici racconti dell’esordiente Kristen Roupenian. Il racconto che dà il titolo alla raccolta, divenuto il caso letterario del 2017 dopo la pubblicazione sul New Yorker, riesce indubbiamente ad indagare senza filtri i nostri tempi: le varie sfumature che assume il consenso, i rapporti di potere nelle relazioni uomo/donna, l’incapacità di comunicare i propri bisogni e desideri. La sua forza, inoltre, risiede nel fatto che chiunque ci si può immedesimare e chiunque può darne la propria interpretazione. Per quanto riguarda gli atri racconti, sono tutti percorsi dal medesimo fil rouge: il lato oscuro dell’animo umano. Anche quando la Roupenian sembra spingersi con coraggio ai limiti del grottesco, tutte le storie hanno il pregio di non lasciare mai indifferenti e di non fare mai la morale, restando aperte a più chiavi di lettura.
Recensioni
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A cura di: Il Rifugio dell'Ircocervo
Nei giorni in cui leggevo il libro di cui parla questo articolo mi è capitato di passare dalla Fondazione Prada, a Milano: una persona della mia vita voleva vedere una certa opera d’arte che consiste in dieci enormi funghi rotanti che pendono a testa in giù dal soffitto. L’opera in questione si trova al nono piano di una torre, e prima di arrivarci abbiamo visitato altri otto piani in cui c’erano tulipani giganteschi in acciaio inossidabile, sedie e tavoli carbonizzati che mantenevano la forma originaria grazie a delle gabbie di metallo, un grosso oggetto di pelo (chiamato, naturalmente, Il pelo) e altre cose del genere.
All’ottavo piano c’era una serie di installazioni di Damien Hirst. La prima parete che si incontrava sulla sinistra, entrando, era quasi interamente occupata da un quadro molto grande. Da lontano sembrava una specie di tappeto nero. Avvicinandomi, mi sono accorto che si trattava di mosche. Una valanga di mosche morte incollate alla tela con precisione, in modo da non lasciare neanche uno spazio bianco. C’è stato un momento in cui sono arrivato abbastanza vicino al quadro da sentirmi assorbire, come se avessi immerso la testa nelle mosche morte – ne vedevo le alette opache e venose, i corpi accavallati uno sull’altro, lunghi mezzo dito – ed è stato allora che è arrivato l’odore. Indescrivibile.
Pur non essendo un critico d’arte – o forse proprio a ragione della mia ignoranza – mi è sembrato che tutta quella esposizione di morte potesse suggerire, a contrario, qualcosa che invece c’entrava con la vita. Più precisamente, con la corporalità: quella cosa da cui ci teniamo al riparo ricorrendo a svariati tipi di sovrastrutture, ma che tuttavia rimane la trama principale del nostro stare al mondo.
Cercando di essere meno vago, arrivo a Cat Person. Come è noto, si tratta di un racconto uscito per la prima volta sul New Yorker, e che è stato oggetto di grande attenzione per il fatto di essere diventato il più condiviso della storia del giornale. In Italia ha dato il nome alla raccolta che lo contiene insieme ad altre undici short stories, molto diverse tra loro, alcune più riuscite e altre meno, ma tutte attraversate dal filo rosso di una certa inquietudine. In Non avere paura la protagonista, seguendo le istruzioni di un vecchio libro di incantesimi, evoca un uomo bellissimo, nudo, tremante e pieno di sangue, nella cantina di casa sua. In La prova nel portafiammiferi marito e moglie si trovano a combattere con delle presunte creature che si aggirano sotto la pelle di lei. In Voglia di morire un uomo incontra una ragazza conosciuta su Tinder che gli chiede, prima di fare sesso, di prenderla a pugni.
Ma il punto di congiunzione di queste storie non è la sfumatura vagamente horror, che pure caratterizza l’atmosfera dei racconti come una crema al siero di vipera in una torta della nonna. Roupenian usa l’orrore come un microscopio, per circoscrivere l’attenzione intorno a quello che maggiormente le interessa, e cioè la disposizione del potere nei legami sentimentali e sessuali: come sottomettiamo gli altri, come gli altri ci sottomettono.
Ora, Damien Hirst e Kristen Roupenian hanno in comune il fatto di essere diventati delle specie di rockstar. Entrambi sono strapagati e sono stati discussi anche al di fuori del loro settore – con le dovute proporzioni, va da sé. Questo però non è l’unico collegamento che mi si è acceso nella testa. Mentre me ne stavo seduto davanti al quadro con le mosche, ho ripensato ai racconti di Cat Person, e mi sono reso conto che a modo loro sono entrambi – quadro e racconti – dei modi disgustosi e poetici al tempo stesso per mettere in scena una incapacità: quella di noi, donne e uomini del nostro tempo, in grado di gestire tutto tranne i contatti più spiccioli. Con le mosche, che sono probabilmente gli animali che incontriamo più spesso nel corso della giornata: ma ci mettono a disagio appena ne troviamo più di una, morte. E con le persone.
Così Margot, la protagonista di Cat Person, rimane affascinata da Robert finché possono parlarsi in chat, con una distanza di sicurezza che li separa. Ma appena si trova nella camera da letto di lui, appena si trova a tu per tu con il suo corpo, non può fare a meno di sentirsi delusa e anche un po’ schifata, come se il Robert delle chat che le provocava tutta quella eccitazione fino al giorno prima non fosse lo stesso Robert di cui adesso vede la pancia pelosa, di cui sente il peso su di sé, di cui intuisce l’insicurezza dai movimenti e da un certo modo di ansimare. Davanti al quadro con le mosche morte anche Margot farebbe un passo indietro, che schifo, direbbe, sono delle mosche.
Recensione di Pierpaolo Moscatello
Kristen Roupenian sa come maneggiare la paura. I suoi non possono essere definiti racconti horror, ma fanno l’occhiolino al genere. La Roupenian è brava a giocare con le inquietudini del lettore e con i disagi interiori più comuni, senza chiamare in causa mostri notturni o bestie orripilanti. Il suo è uno stile agile e concreto, capace di illuminare sulla scena solo ciò che serve per dare la giusta sfumatura all’intreccio. Ma non solo: la Roupenian insinua il dubbio e lo abbandona lì, nella testa di chi legge, a ronzare come una vespa che sbatte ripetutamente contro il vetro. Nei suoi racconti, tradotti da Cristina Mennella, Gianni Pannofino e Maurizia Balmelli, pubblicati da Einaudi, sotto il nome di Cat Person (256 pagine, 17,50 euro) basta che qualcuno bussi alla porta per sentire scorrere un brivido freddo lungo la schiena o lasciarsi prendere da cattivi presagi.
C’è qualcosa che fatichiamo a decifrare nelle paure che provoca la cosiddetta società digitale. Paure diffuse che la Roupenian ha saputo cogliere e attraverso i suoi racconti ora ci somministra. Paure forse riplasmate dalla mole di notizie terrificanti che ogni giorno ci piovono addosso, da ogni angolo del pianeta, amplificate dal chiacchiericcio dei social network e talvolta distorte ad arte. Chi non ha mai temuto per sé, magari solo per un attimo, dopo aver sentito di un molestatore seriale neozelandese o di uno squinternato che ha scannato un tizio incontrato per caso in uno scantinato dell’Ohio? Chi non ha mai temuto che un folle terrorista, con le tasche imbottite di esplosivo, non irrompa nella scuola del figlio facendo strage di innocenti? Chi non ha mai temuto (quasi sempre sbagliando) che dietro i modi gentili di quell’anziano vicino di casa, non si nasconda un pedofilo?
Negli Stati Uniti, dove certe sensibilità letterarie emergono prima che altrove, Kristen Roupenian, 38enne di Boston, è diventata un autentico caso. Il racconto che dà il titolo alla raccolta (Cat Person, appunto) è stato pubblicato dal sito del New Yorker ed è risultato il secondo testo più letto in assoluto nel 2017. La protagonista è una giovane cassiera (Margot) impiegata in un bar presso un anonimo cinema di periferia. Margot una sera conosce un 34enne (Robert). Ne nasce un flirt, fatto di battutine e messaggi al cellulare. Da qui l’appuntamento, che però tradisce le aspettative di Margot. Situazione tipica, nella quale è molto facile immedesimarsi. Ci facciamo un film in testa, poi la realtà (lui/lei) si rivela ben altra cosa. Durante i preliminari, Margot intuisce che non le piacerà fare sesso con Robert, ma anziché mollarlo si concede ugualmente, un po’ per la paura (della reazione di Robert), un po’ per l’imbarazzo (che il suo rifiuto a quel punto comporterebbe). Robert non è un violento, anzi, si mostra insicuro e imbranato. I suoi modi grezzi e spicci spengono il desiderio di Margot. Ma la scarsa conoscenza del partner, poco propenso alle confidenze personali, e la paura di finire nelle fauci di un mostro, fanno sì che la ragazza si lasci andare. Concedersi quasi passivamente, alla fine, risulta più logico, sicuramente più veloce, che infognarsi in spiegazioni umilianti e rischiose.
Nel mondo della cultura a stelle e strisce, Cat Person è stato definito il “primo racconto virale”, perché in effetti è stato grazie al tam tam dei social network che ha acquistato una notorietà improvvisa e imprevista, probabilmente anche in virtù del fatto che il racconto è stato pubblicato nello stesso periodo in cui sui media si parlava giornalmente del movimento #metoo. Una notorietà che ha fruttato all’autrice un contratto editoriale da oltre un milione di dollari per scrivere due libri.
Prima di pubblicare questo volume, Cat Person (che nella versione originale si intitola You Know Yoy Want This, ovvero Lo sai che lo vuoi), la Roupenian aveva scritto solo qualche racconto horror. Non tutti per la verità hanno apprezzato la raccolta in questione. E in effetti non tutti e 12 i racconti brevi sono riusciti (bene) allo stesso modo. Le storie sono in gran parte legate al sesso. Il punto di vista è quasi sempre al femminile. Secondo una influente blogger americana, Emily Gould, i racconti di Kristen Roupenian “sono i lavori di una studentessa e sbandierano chiaramente cosa li ha influenzati”. Che la scrittrice cresciuta a Boston abbia fagocitato Stephen King (e non solo), lo si intuisce immediatamente. E allora? Il successo di Cat Person non dipende certo dalle letture/influenze dell’autrice. Semmai è frutto del rovistare di un artiglio inquisitore, leggero eppure graffiante, con cui Kristen Roupenian scava dentro ognuno di noi.
Recensione di Giovanni Di Marco
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