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Anno edizione: 2024
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«La Boscaiola» era un tipo schivo, però non dava fastidio a nessuno: una di quelle persone che non sembrano avere amici e nemmeno nemici. Eppure qualcuno l’ha uccisa. Poi ha infierito sul suo cadavere come se avesse un intento preciso.
Un nuovo caso per Vanina Guarrasi.
Ai piedi del Castagno dei cento cavalli, un albero secolare che cresce sulle pendici dell’Etna, due guardie forestali ritrovano il corpo di una donna brutalmente assassinata. La scena del crimine è sconcertante. Per il vicequestore Guarrasi, della Mobile di Catania, l’indagine si presenta subito complessa, se non altro perché sulla vittima non esistono praticamente notizie, quasi non avesse un passato. L’esperienza e la memoria del commissario in pensione Biagio Patanè – il migliore quando si tratta di abbandonare le mavaríe tecnologiche e operare alla vecchia maniera – sono dunque più utili che mai, anche se l’anziano poliziotto appare un po’ distratto da un problema personale. Del resto, la stessa Vanina fatica a conciliare la vita privata con il lavoro: la prima la richiama sempre a Palermo, sua città natale; il secondo la porterà invece in un «luogo dell’anima» che appartiene alla sua infanzia.
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Una trama confusa predomina su tutto il libro. Tanti nomi, caos di ruoli, un ginepraio che del libro giallo ha ben poco. Per capire ruoli e personaggi a volte tornavo indietro nella lettura. Finale tirato via senza capo né coda con un personaggio che ancora non ho capito bene in quale momento del racconto è apparso
Questo testo rappresenta per me il primo approccio con il mondo di Vanina, di conseguenza riconosco di aver letto senza gli strumenti necessari a godermi del tutto certi aspetti della storia. Concentrandomi sull'indagine in sé, tuttavia, mi spiace molto dire che ho trovato l'intreccio non così accattivante quanto la quarta di copertina lascerebbe credere: il ritmo è profondamente sbilanciato dai turbamenti della macrotrama (Paolo, la storia del fidanzato di Costanza, Bazzuca, tutti elementi messi lì un po' a caso), sbilanciamento che raggiunge l'apice proprio col finale completamente casuale. L'omicidio, poi, sembra non interessare neppure ai personaggi, tanto da essere risolto in una quindicina di pagine, per vie traverse e coincidenze che sarebbero potute saltare all'occhio già all'inizio di ogni cosa. Trovo tenero questo procedere alla Camilleri, che mi pare doveroso, ma finché tutto rimane fine a sé stesso non so quanto possa valerne la pena.
Un vero giallo non può risolversi casualmente a poche pagine dalla fine con soggetti mai entrati in gioco nella storia precedente. Lo stile dell’’Autrice è ormai noto con il ricorrente gradevole ricorso a espressioni e parole tratte dal dialetto siciliano. Forse dovrebbe limitare un po’ le troppo frequenti e ripetute citazioni delle prelibatezze gastronomiche gustate dalla protagonista per evitare che, alla fine del libro, il lettore ne esca con una sensazione di sazietà.
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