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Partendo dal caso di G., un uomo con «tendenze omosessuali» internato nel Manicomio di Collegno nel 1928, questo libro analizza la patologizzazione dell’omosessualità durante il fascismo. Non esiste uno studio sistematico sulla possibilità che il regime fascista abbia usato l’internamento come strumento di repressione di persone LGBT, in alternativa ad altre forme di punizione ed isolamento come il confino, l’ammonizione, la diffida, la prigione o gli arresti domiciliari. Questo libro affronta per la prima volta l’argomento in maniera specifica.
Torino, novembre 1928. Un uomo viene arrestato e successivamente internato nel manicomio di Collegno. È il fratello a denunciarlo e quasi sicuramente a rivelarne le "tendenze omosessuali", sapendo che questo comporterà l'arresto, il confino o il ricovero in ospedale psichiatrico. La cartella clinica di G. contiene uno straordinario documento autobiografico in cui dichiara la sua omosessualità, denuncia le continue minacce, l'ipocrisia e i ricatti del fratello, per chiedere, con consapevolezza moderna, la sua parte dell'eredità di famiglia ed un risarcimento per le conseguenze socio-economiche dell'omofobia che ha subito. Uscirà dal manicomio con una perizia che lo dichiara sano di mente. Una storia torbida, ma con il lieto fine, dunque, anche se le parole di G. sono un miscuglio di coraggio e opportunismo, determinazione e contraddizioni, paradigma di molte esistenze stritolate dalla macchina repressiva della dittatura. Questo libro indaga l'internamento psichiatrico come strumento di repressione dell'omosessualità durante il regime ed allarga lo sguardo al pensiero psichiatrico sull'inversione sessuale durante il Ventennio.L'articolo è stato aggiunto al carrello
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