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Non si può non restare affascinati dalla sua straordinaria abilità descrittiva che riesce a farti sentire parte integrata del suo scritto. Anticipo che questo libro, in parte descrittivo del suo vissuto da bambino, richiede una minima conoscenza dell'India. Anche se si svolge a Trinidad, le famiglie Tulsi e Biswas (soggetti dello scritto) rispettano le usanze del Paese di origine, l'India appunto. Lo scrittore esaspera i lati comici e drammatici delle sue stesse origini familiari e spesso strappa una risata al lettore che ha avuto modo di conoscerle sul luogo. A chi non è mai stato in India, questo libro può sembrare esagerato, ma così non è. Ne esce un quadro critico, ilare, ma alla fine la vena nostalgica con una spruzzata di tristezza di questo scrittore, esce in tutta la sua limpidezza. Grande V.S. Naipaul: mi mancheranno gli appuntamenti con i Tulsi (piuttosto scaltri) e i Biswas (sfigati, ma orgogliosi). Un libro da non perdere!
Se uno scrittore riesce a mobilitare la meraviglia descrivendo il processo di maturazione di un casco di banane, così come non riuscono in migliaia tonitruando di orgie, ecatombi e pusillaminità del genere, inferni-purgatori-paradisi compresi, significa che lo scrittore è diventato tutt'uno con la sua scrittura e che la sua scrittura ha un odore, fosse pure di umido o di sudore, e che ha un sapore, anche se quello ben più salato del pane mangiato dal fuggiasco: quello amaro di chi è mantenuto alla mensa della suocera. Ha il colore della vitigine la scrittura di Naipaul, il suono dei corvi, ed è tattile ovunque: è una pelliccola che ricopre e che trasuda, lei in te e viceversa.
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