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Storia molto intrecciata e ben costruita. Sembra quasi di perdersi a volte, ma piano piano si ritorna sui passi giusti e si arriva al finale soddisfatti e un po' incupiti ma rassegnati.
Più volte ho avuto la tentazione di mollare ma poi resistere ne è valsa la pena. Purtroppo ho scoperto l'albero genealogico solo quando ho finito il libro, altrimenti sarebbe stato meno faticoso leggerlo. Star dietro a tutti quei personaggi dai nomi difficili è stata un impresa ma nel complesso la storia è molto bella.
Il romanzo si sviluppa su un lungo arco di tempo, le storie e i personaggi si intrecciano facendo perdere, soprattutto alla fine, un po' di orientamento, forse anche a causa di salti temporali che creano dei buchi nella narrazione. Il finale non consente in qualche modo di ricomporre tutto il filo delle storie. Tuttavia non posso dare un giudizio negativo di questo libro che contiene delle parti molto belle e poetiche.
Recensioni
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New York. Due stimati professionisti di origine indiana, docente universitario lui, medico lei, vengono ritrovati uccisi nel loro appartamento in quello che sembra un duplice omicidio senza motivo.
Voltando pagina, ci si aspetterebbe di trovare l’inizio delle indagini sul terribile delitto, ma la narrazione ci stupisce con un salto temporale e spaziale che ci porta nell’Irlanda a metà Ottocento, devastata dalla carestia e dalla povertà, prima tappa di un esaltante ed imprevedibile viaggio che condurrà il lettore allo scioglimento dell’enigma iniziale.
Veniamo così a conoscenza di due giovani amici Padraig, impetuoso e ribelle, e Brendan, pacato e riflessivo, che abbandoneranno la contea di Sligo, affamata e sfruttata, per imbarcarsi verso mete lontane.
Padraig finirà per caso in India, diventando il protagonista e il capostipite di una lunga discendenza anglo indiana, mentre Brendan finirà negli Stati Uniti dove, oltre un secolo dopo, ritroveremo i discendenti di Padraig e dei suoi amici indiani, le cui vite sono intrecciate dalle maglie del destino.
Una vera e propria saga familiare che ci mostra l’imprevedibilità dell’esistenza, capace di legare la nostra vita a quella degli altri in un disegno, ogni volta nuovo e inatteso, che si dipana lungo il filo della Storia. Una vicenda intensa e ricca di tutte le sfumature del vivere umano: amore, tradimenti, incontri, tragedie, dolore, avventure…non mancano gli ingredienti in questo mosaico colorato nel quale alla fine ogni tassello trova il proprio posto.
Attraverso cinque generazioni e tre continenti, lo scrittore anglo indiano Kalyan Ray, al suo esordio italiano, ci regala un romanzo di ampio respiro che mescola con abilità fatti realmente accaduti a intriganti personaggi di fantasia.
Belle atmosfere, grande capacità di introspezione, uno stile capace di evocare immagini e di sondare con realismo e un tocco di poesia l’animo umano: elementi di grande fascino a cui si aggiungono una ricostruzione storica dettagliata e la riflessione su temi di grande attualità. Come vive realmente un immigrato, diviso tra la nostalgia del suo paese natale e il desiderio di integrarsi nella sua nuova terra?
Come ci si sente ad essere figli di due culture diverse? E ancora, cosa vuol dire crescere senza genitori, senza conoscere le proprie radici?
Cosa vuol dire appartenere ad una famiglia, ad un luogo, a qualcuno?
C’è molto da imparare, insomma, seguendo le avventure dei protagonisti di questo libro, immigrati, gente povera alla cui pochezza di mezzi fa da contraltare una grande energia interiore e una costante volontà nel migliorare la propria vita.
Una storia che offre molti spunti di riflessione e che ci insegna a guardare al di là delle differenze, trovando nelle passioni, nei sentimenti, nei sogni e nei legami familiari ciò che ci accomuna come esseri umani: “La mia irlandesità si fondeva come sale marino a quella temperatura del mio essere, permettendomi di essere anche indiano, un essere umano disceso da chissà quanti sorgente, prodotto da tante stirpi che ci sono e che sempre ci resteranno ignote: Erin, Iran, arii, umani…maanush, la stessa parola con cui i bengalesi e gli zingari di tutta Europa indicano l’umanità! Ho avuto la certezza che mio padre avesse capito, negli ultimi istanti della sua vita, con l’occhio della mente rivolto al passo di Glengesh, che siamo sullo stesso grante itsmo nella geografia del tempo. Siamo tutti imparentati: la nostra nazione comune è la mortalità.” (p.430)
Recensione di Chiara Barra
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