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Da dove nasce una poesia, da quali trasparenze, da quali istinti, da quali rivoli? "In un luogo dove / non so reggermi / e mi premono sbarre in tutto il corpo". Non risolve che per altre domande il dramma fra l'uomo e la parola, sfida e resa ad ogni minimo rigo, marciapiede e altare, grotta e cupola, cielo che istiga e carreggiata di buche. Bisogna assumerne la distanza e viverla come un costante addio oltre lo stento di una luce a tradurlo. Più o meno come dice il poeta trovandosi una rima finale più che perfetta: "Attento: / prima che gli amici ti siano irriconoscenti / diventa un vento". Qui si danza nell'eterno esilio del sentire, fra "visite improvvise, dispacci, lettere non aperte", un luogo senza presa dove l'illuso che dimora nel poeta intaglia col pennino qualche sillaba degna, qualche ramo spezzato al tronco dell'invisibile, non importa se invano: "Io non so se tu sei / qualcosa di buono / o un poco di buono / ma certo non sai / il dolce succo di chiamarsi uomo". A chi sta parlando il poeta, a quale lacera corda sta tentando di tenersi, a quale lato della speranza? Un segno, un tratto esiguo a straniare un verso dal suo costume più laido, a rivestirlo di grazia, nel mondo dove "la psiche è il nuovo sportello di banca" (ruberei volentieri questa frase, ma non ne ho il coraggio). Così, in questa lentezza meditante procedono queste composizioni, in ceppi d'eterno dubbio, condannate a farsi amare da chi è chiamato a fronteggiare la domanda più grande ma si trova davanti ad essa puntualmente di spalle. Può solo annaspare, cedere, intuire, tentare. Può solo farne saliva di poesia. E in questo libro bellissimo essa gronda da una gola rara, da un gesto malato e sofferto che sa accettare di restare piccolo, si accontenta, perché "l'umiltà è una misura di luce". Consigliato a chi sa che la poesia non risolve la vita. Ma la assolve.
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