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La terra è secca, ha sete e si spacca. Sui labbri dei crepacci le lucertole arroventate corrono in fiamme. Le stelle cadono accese per bruciare il mondo, ma nessuno tende le maniper abbracciarle e si smorzano, tuffandosi nel buio.
Scipione (Gino Bonichi 1904 – 33) è noto sopratutto come pittore: la sua breve presenza a Roma alla fine degli anni venti costituisce uno dei momenti piú incisivi e intensi di espressione del rinnovarsi della giovane arte figurativa in un momento di fruttuosi scambi fra pittura letteratura e critica. Sotto il titolo di Carte segrete erano stati raccolti, dopo la sua morte, pochi versi, pagine di prosa e di diario, lettere, e fu subito chiaro che quel materiale restituiva schegge liriche di singolare, decisa forza poetica, tali da garantirgli un ruolo non secondario nella poesia italiana del Novecento. Integrato da altri testi, sparsi via via in riviste e libri di scarsa diffusione, quel gruppo di frammenti, qui riproposto, mostra Scipione in qualità di poeta dalla «grande forza panica», come dice Amelia Rosselli, e quale straordinario crogiolo di intenzioni e di ricerche espressive.
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