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Anno edizione: 2022
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Uno dei più importanti storici dell'arte, lo svizzero Heinrich Wölfflin, pubblicò negli anni '20 un breve testo (oggi riproposto dall'editore Castelvecchi con l'introduzione di Andrea Pinotti), che si apre con questa domanda: «Devono davvero essere spiegate le opere d'arte?» Secondo Wölfflin, bisogna imparare a guardare un quadro in base a un graduale apprendimento, con la stessa applicazione con cui si imparano le lingue straniere. Nessuna opera d'arte, infatti, è immediatamente e spontaneamente comprensibile da qualsivoglia spettatore, ma deve essere letta stabilendone le coordinate diacroniche (predecessori e successori, storia dei vari stili) e sincroniche (in relazione con la generazione, il popolo, l'ambiente, la scuola dell'artista che l'ha prodotta). Ovviamente, il capolavoro è firmato sempre da un genio, ma dietro a esso è intessuta la storia di un'intera epoca, di un nazione, di una cultura che trascende e insieme determina l'artista eccelso: «Non tutto è possibile in tutti i tempi», ammonisce Wölfflin: «Sono proprio le personalità più forti quelle che mostrano, nel modo più evidente, come la storia dell'arte sia legata a leggi che vanno oltre la personalità.» Sembrano considerazioni scontate, al giorno d'oggi, ma quello che rende originali e addirittura provocatorie queste poche pagine è l'affermazione della irreversibilità dell'evoluzione artistica, secondo un processo deterministico modellato sulle scienze naturali, e scandito sempre in tre stadi (primitivo-maturo-tardo, oppure arcaico-classico-barocco), che si ripresenta in diverse fasi storiche, in un processo organico che «possiede un suo proprio sviluppo e una sua propria struttura». Ciò avviene secondo una progressione graduale, conformemente a leggi necessarie, che in genere passano da «forme di rappresentazione psicologicamente più semplici a quelle più complesse». «L'evolvere dell'arte non dovrebbe essere paragonato al crescere di un albero singolo, ma piuttosto a quello di un bosco».
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