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"Nessuno in Israele ha mai contestato il Cantico... perché tutto il mondo non vale quanto il giorno nel quale è stato dato a Israele il Cantico dei Cantici; tutti gli Scritti, in realtà, sono santi, ma il Cantico dei Cantici è il più santo dei santi". Con questa frase significativa, si narra che Rabbi Aqiva, 1.800 anni fa, riuscì a convincere i suoi colleghi ad inserire questo libro meraviglioso nel canone dei 24 libri della Bibbia ebraica. Gli altri Rabbini erano, infatti, perplessi, se non insospettiti, di fronte ad un testo così particolare, un poema d'amore idillico, d'intense tonalità romantiche, e a volte perfino erotiche, ben diverso da tutti gli altri testi canonici. Per giustificare quindi la sua presenza nel canone, l'esegesi o l'interpretazione religiosa spesso è stata costretta a forzarne il significato letterale e a sostituirlo con un'allegoria il più delle volte estranea o completamente sovrapposta. Questo libro si chiede perché, con lo schermo dell'allegoria, la Scrittura avrebbe dovuto rinunciare a rappresentare la sacralità dell'Eros, quando attraverso di esso è possibile la realizzazione di un'esperienza che può andare ben oltre il rapporto circoscritto ai corpi dell'uno e dell'altra. La lettura in chiave cabalistica è diretta a confermare l'idea-guida che vede nel Cantico il "manuale" della perfetta unione, e che propone la via del ritrovamento della propria polarità opposta. Non a caso, quindi, il libro parla di "sacralizzazione dell'Eros" o di quello che, senza aver paura delle parole, potrebbe essere definito come "tantrismo biblico" che porta a vivere, nell'ambito dell'unione una gioia sia fisica che spirituale, irraggiungibile con altri sistemi.
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