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Si impara sui libri di scuola che la vita di Leopardi fu infelice. Ma gli studi adolescenziali non sempre riescono a colpire nel profondo e poi, come sempre, è confrontandosi con l’opera di un autore che si riesce a entrare davvero nel suo mondo. Leggendo la produzione poetica dell’uomo di Recanati, racchiusa quasi in toto in questi poco più di trenta canti, si capisce davvero che la vita del conte Giacomo fu difficile, prima confinata nel ‘natio borgo selvaggio’ in cui la sensibilità del poeta non poteva trovare risposte e poi dispersa in un continuo girovagare da un posto all’altro con pochi momenti di requie a inframmezzare un cosciente avvicinamento a una morte sempre più anelata. Se negli anni giovanili le tensioni interne del suo animo sono incanalate nella passione politica col passare del tempo c’è spazio sempre più per un pessimismo cosmico e spietato che vede la vita come un inutile susseguirsi di sofferenze somministrate all’essere umano (e anche agli altri viventi) da una natura ferocemente matrigna. Poco durarono anche il nuovo impeto creativo nato con ‘Il risorgimento e l’innamoramento del periodo de ‘Il pensiero dominante’, che poterono solo parzialmente aprire uno spiraglio fra le nubi: la disillusione che ne seguì fu il colpo definitivo e condusse a quell’ultima fase in cui solo un acre sarcasmo si alterna alle più nere considerazioni in un’idea del mondo che ben si riassume negli oltre trecento versi della conclusiva ‘La ginestra’. Eppure quest’uomo non solo fu capace di mettere in squisita poesia le sue angosce più profonde, ma seppe anche creare momenti di abbandono in cui la tensione emotiva e, diciamo così, ‘ideologica’ lascia spazio alle sensazioni. Assolutamente da leggere.
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