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Truffaut amava leggere Henry James e dopo aver letto la novella "L'altare dei morti" contenuta nella raccolta "Racconti di fantasmi", decise di ricavarne un film: "La camera verde". Il regista francese, oltre a cambiare l'ambientazione della storia, apporta alcune modifiche interessanti, ad esempio: il protagonista lavora in un giornale; l'introduzione della figura chiave di George, un bambino sordomuto e soprattutto l'aggiunta del tema psicologico del disturbo da stress post-traumatico del protagonista che è un reduce della Grande Guerra. "Che altro mezzo hanno quei poveri defunti, di RESTARE QUI, se non il ricordo di chi si è salvato?" afferma il protagonista Davenne e si capisce subito che il suo legame con "gli Altri", i Morti, non ha nulla a che fare con quella "comunione dei santi" che caratterizza la fede cristiana. Davenne (e il jamesiano Stranson) non sono cristiani, il loro culto è del tutto personale e nulla ha a che fare con la religione. Davenne rifiuta che i Morti lascino questo mondo per l'aldilà, egli mira a farli permanere nell'aldiquà. Inoltre, il suo culto si distingue per un amore egoistico, esclusivo e condizionato: solo i suoi Morti e quelli che lui ritiene degni, debbono permanere nel mondo. Il personaggio di Cecilia ha un'altra visione, quando dice: "No, non siamo uguali. Si, amo i morti e li rispetto, ma amo anche i vivi" e aggiunge, "Non amiamo i morti nello stesso modo: Lei ama i morti CONTRO i vivi". Proprio così, Davenne è un misantropo, un uomo solo, pieno di rancore verso i vivi e perseguitato dai suoi incubi di reduce. Lo si capisce anche quando afferma, "La solitudine ti fa perdere l'abitudine di ascoltare" e in un'altra scena quando dice, "Accettando di far parte della società, bisogna proteggersi dalla nausea. Un vero e profondo disgusto". C'è un altro grande tema su cui non posso dilungarmi, quello del perdono, unico modo per aprirsi all'amore altruistico, aperto e incondizionato, quell'amore che Davenne scoprirà solo alla fine.
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