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recensioni di Vittori, M.V. L'Indice del 2000, n. 03
La fiducia nella possibilità di allacciare un proficuo rapporto con il reale è la disposizione che governa questi scritti di Francesca Sanvitale composti in varie epoche e per diverse occasioni, e conferisce loro un timbro unitario, un'"aria di casa".Una fiducia che appartiene in primo luogo alla narratrice di storie, e poi all'autrice di saggi-riflessioni che da quelle storie e da tante altre ancora partono e tornano, in un laborioso tentativo di ridefinizione.
Questo dichiara di aver ricavato dagli anni cinquanta, per altri versi dimenticati o sconfessati, la certezza che "un narratore contemporaneo, se pure non ha più una visione del mondo, non può neanche essere privo della coscienza del suo tempo, né rinunciare alla ricerca, forse utopica e anche ridicola, di una verità fondante".
Necessità e verità che portano il timbro inequivocabile di una derivazione dalla storia.E certo non ha timore, Francesca Sanvitale, di citarla con la maiuscola, questa protagonista che era diventata in molti romanzi l'oscuro convitato di pietra o il nemico da abbattere.La Storia con la maiuscola è la presenza attiva e enigmatica che muove le pagine dell'Opera al nero di Marguerite Yourcenar, è il gigante cui cede il passo Victor Hugo nella narrazione della battaglia di Waterloo, è l'oggetto di studio di Bruce Chatwin.Grande è l'ammirazione nutrita per questo scrittore, nomade e imprevedibile nella vita e nella scrittura eppure sempre fortemente necessitato all'espressione. Da cosa? Proprio da questo solido senso della Storia, da questo proficuo rapporto con la realtà, con le realtà.
Ma intense e suggestive sono anche le ricognizioni compiute in territori di scrittura assai diversi da questi, dove saltano quei legami tra il prima e il dopo necessari alla storia, e trova espressione una "solitudine percettiva e psichica" che ha del parossistico: vedi la lettura di Gianna Manzini.E persuasivi risultano i legami che sa rintracciare tra autori apparentemente diversi tra loro come Giorgio Caproni e Pier Paolo Pasolini, che nelle loro ultime raccolte poetiche tolgono al reale colori e sostanza fino quasi a cancellarlo.
Nelle pagine intitolate Autobiografia e no la scrittrice prova a tracciare il profilo di ciò che definisce la sua personale epopea, fatta di leggende e miti familiari, con l'avvertenza che ogni epopea personale è legata "all'epopea di una comunità", ovvero reca i lineamenti di una fisionomia più ampia a cui non è possibile sottrarsi. A maggior ragione per uno scrittore, per chi mette nero su bianco come afferma con ironico, micidiale abbassamento Marguerite Yourcenar, e per chi ha sempre coltivato un'attrazione invincibile per "l'altro e l'altrove".
Anche questi termini ricorrono frequentemente, e nelle riflessioni dedicate alle peculiarità dello scrittore, e nelle riflessioni relative alle strutture sociali.
Riflessioni minutamente articolate, e suffragate da un massa imponente di documentazioni. Tuttavia Sanvitale dichiara di preferire a certe analisi laboriose, fitte di particolari, alcuni tagli finissimi di analisi e di scrittura critica, come la descrizione della comparsa in scena di Anna Karenina, o come il saggio che, non a caso, con eccezionale senso di teatralità, apre la raccolta: sullo sfondo di una terra vibrante di colori, prende vita la figura di Katherine Mansfield, "personaggio con mazzo di fiori".
Personaggio necessario, radicato nella terra e nella storia, eppure con l'innato gusto del leggero, dell'effimero, del superfluo: come la letteratura, come la vita.
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