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Ho preferito Althenopis e Taccuino Tedesco ma, anche qui, la narrazione dei personaggi è dettata da una grande sensibilità.
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In modo coraggioso e atipico, Fabrizia Ramondino sceglie per questi dieci racconti un taglio realistico di precisa definizione, che si appunta sulla quotidianità piuttosto che sugli effetti spettacolari o sulla fuga onirica. Difficile trovare un accordo fra le storie e anche classificarle sotto la rubrica, che la scrittrice ha sempre rifiutato, della "napoletanità". Si tratta in definitiva di dieci ritratti di personaggi eccentrici, che sono a margine dell'esistenza (o forse vivono una vita più autentica) per motivi disparati: l'ideologia (per Giosuè, il comunista che lotta e muore solo e per Arlette, che sconvolge con la sua presenza gli equilibri di una "comune"), l'età (per la vecchia e i bambini di Il letto, uno dei racconti più belli) o lo stile di vita (per la Colombaia, barbona-santa dal passato misterioso). Le storie sono costruite con cura e sempre secondo quella prospettiva (anch'essa spostata dal centro e dal pensiero comune) che è propria della scrittrice.
Dal ritratto di figure emerge la storia sovraindividuale di più di una generazione, di quella che ha conosciuto la guerra e di quella che ha tentato di cambiare il mondo: fra gli altri, il racconto Una brutta bestia contiene una descrizione precisa, ironica e affettuosa, di alcuni ambienti giovanili degli anni settanta. Anche in questo caso - non isolato, dal momento che i racconti sembrano parlare soprattutto di un tempo passato ma perfettamente interiorizzato ed evocato con evidenza - Fabrizia Ramondino affronta i dati reali, concreti, con uno sguardo esterno-interno che è una scelta di non appartenenza e che nulla concede alla nostalgia, alla pietà o al giudizio. Nel taglio descrittivo si legge tuttavia un tentativo di comprendere e interpretare, senza sottrarsi. In questo senso la scrittrice è la portavoce ideale dei suoi personaggi isolati, sradicati, fraintesi e sempre in viaggio. Anche questa raccolta di racconti è dunque un "diario di bordo", come Passaggio a Trieste (cfr. "L'Indice" 2000, n. 7), sul disagio mentale femminile, e come L'isola riflessa (cfr. "L'Indice" 1998, n. 5), resoconto del soggiorno a Ventotene.
E come nelle sue altre opere, che si sono sempre negate a una sistematicità e anche a una forma romanzesca compiuta, Fabrizia Ramondino cerca di fissare nei personaggi il punto di precario equilibrio fra vulnerabilità e forza. Emblematico in questo senso il primo racconto, che dà il titolo alla raccolta e in cui un padre, tornando a casa, non sa dove deporre il peso delle sue fatiche, resiste a stento alle proprie pulsioni rabbiose e violente e poi finisce per trovare pace accanto al corpo del figlioletto, fra le lenzuola: "E a un certo punto, con gli occhi sepolti dal sonno e dai sensi di colpa, a piedi scalzi, entra dalla porta il bambino, si ficca timoroso a fianco e si addormenta, tirandosi la coperta sul capo per non farsi sgridare. Tutte queste cose della sera aiutano il giorno dopo ad andare avanti". L'unica consolazione per l'esclusione, la fatica, la precarietà è quella dei corpi che si cercano per una breve pausa, per un contatto, per gioco. Il corpo è una costante in tutta l'opera di Ramondino, come mezzo elementare per accorciare le distanze o affermare una presenza.
Ne troviamo una conferma in Per un sentiero chiaro, la raccolta, pubblicata recentemente da Einaudi, delle poesie scritte fra il 1956 al 2002 che, tratte dal cassetto per interessamento di un'amica, esibiscono il processo di una progressiva scarnificazione e perdita: "Sono come una terra devastata. / Naviga fra i relitti, intriso d'acqua, / il mio guanciale. Ricordi? per gioco / fra i capelli arruffati - fingendo io il broncio - / lo scagliavi / e la bocca imbronciata mi baciavi". E ancora, in Natura morta: "Perché / nella casa deserta di amori / ho bisogno di una fruttiera con frutti / di una fioriera con i fiori? / Nature morte, gambi recisi. / Non sarà che la porta dei sensi / che mi dava un accesso alla vita / per un colpo di vento si è chiusa?". Le poesie marcano la ricerca di essenzialità e aprono una prospettiva sugli aspetti che Fabrizia Ramondino ha lasciato volutamente nell'ombra nel suo lavoro di scrittrice. Così la lettura della raccolta poetica ci offre la chiave per comprendere moventi, per scoprire modelli e interlocutori letterari indispensabili, per scavare nel fondo della profonda infelicità dei personaggi. In una lirica dedicata a Elsa Morante, la scrittrice ci consegna un nuovo ritratto essenziale, il suo, che non stonerebbe accanto a quelli tratteggiati con intensità emotiva in Il calore: "- E ti muteresti potendo in quale bestia? / - Nell'asina - dico - che porta pesi e arranca / paziente lungo il precipizio; / raglia di gioia; di ogni bestia è più bestia / nell'amore. / Infine anch'io / ho orecchie lunghissime di carta".
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