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Questo secondo romanzo di Sirignano, almeno nelle intenzioni, dovrebbe servire a evidenziare come era la civiltà contadina ora scomparsa. Si tratta di un progetto ambizioso e di non facile realizzazione e che finisce con lo scontare inevitabilmente il confronto, da cui esce nettamente perdente, con la trilogia (Il Quinto Stato, La vita eterna e Un altare per la madre) di Ferdinando Camon, che rappresenta quanto di meglio ci possa essere per descrivere un mondo rurale ormai estinto. D'altra parte, nemmeno pretendevo che Sirignano fosse all'altezza del narratore veneto, ma comunque mi sarei aspettato un romanzo di migliore levatura. L'opera inizia con un vecchio in un ospizio, allettato e che sembra solo vegetare, che riceve quotidiane visite da una donna che non conosce e che gli racconta una storia che lui ignora, ma dove ci sono richiami a luoghi che gli fanno ricordare un'altra storia che poco a poco prende piede nella sua mente. La narrazione delle due vicende procede alternativamente, per poi incrociarsi nel finale, come era mia previsione. La struttura, così impostata, purtroppo è greve, pesantezza che potrebbe trovare giustificazione solo per approfondimenti di concetti particolarmente complessi, ma che non sono però presenti; è greve per l'impostazione dell'opera, per un ricorso a non rare digressioni che sono decisamente non pertinenti e se lo stile nel complesso è migliorato rispetto al primo romanzo dell'autore, permane tuttavia volutamente un velo di mistero che però si rivela solo un espediente per dare un po' di vivacità a una trama tutto sommato abbastanza monotona Le due storie, inoltre, hanno tutte le caratteristiche tipiche della telenovela, fra cui il fatto che i protagonisti o sono solo buoni o sono solamente cattivi, con gli amori contrastati, le invidie e cattiverie del paese. Il romanzo, pur risultando leggibile, non potrà essere di sicuro annoverato fra le opere degne di nota e meritevoli di particolare attenzione.
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