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Il caffè. Politico e letterario. Antologia (1953-1977) - copertina
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Il caffè. Politico e letterario. Antologia (1953-1977) - copertina

Dettagli

1992
1 gennaio 1992
452 p., ill.
9788877661050

Voce della critica


recensione di Tomasello, G., L'Indice 1992, n.10

La massa dei materiali contenuta nelle annate del "Caffè", la rivista fondata nel 1953 da Giambattista Vicari, che l'ha diretta fino al 1977, è incontenibile, straripante, puntigliosamente eterogenea: sfugge a qualsiasi suddivisione, gli autori presenti sono una miriade, delle più diverse provenienze. E questo proprio in sintonia con la volontà di Vicari di creare un laboratorio culturale caratterizzato soprattutto dall'apertura, dall'esigenza di rinnovamento legata a una curiosità letteraria insaziabile, illimitata. Così la rivista e lo stato maggiore dei sudi collaboratori potevano certo avere simpatie, a volte precise, ma era poi impossibile inserire "Il Caffè" in uno schieramento, collocarlo con precisione all'interno di un movimento o di una corrente.
Non a caso, già alla sua nascita, all'inizio degli anni cinquanta, la rivista aveva evitato tanto di unirsi all'avanzata delle forze neorealiste, che stavano mietendo i loro maggiori successi, quanto di assumere la difesa del fronte contrario, a fianco delle ultime propaggini dell'ermetismo, e aveva piuttosto iniziato un programma di caotica ed entusiasta diffusione dei fermenti e degli stimoli dell'avanguardia letteraria, intesa nel più ampio senso possibile. E di qui la sua capacità di compiere una profonda opera di sprovincializzazione dell'ambiente culturale italiano, presentando per la prima volta traduzioni di testi di Arrabal, Pound, Joyce, Beckett, Borges, di Queneau, Tardieu, Le Lionnais. E di qui, anche, l'impressionante elenco dei collaboratori italiani, praticamente quasi tutto il Gotha delle più vivaci firme del tempo, da Pasolini a Manganelli, a Landolfi, Arbasino, Calvino, Eco, Buzzati, e poi, nel settore della poesia, Caproni, Sanguineti, Pagliarani, Zanzotto, Accrocca, e in quello della critica Bo, Almansi, Pedullà, Guglielmi, Giuliani, Barberi Squarotti.
Sull'importante operazione culturale compiuta da Vicari nella travagliata conduzione del "Caffè" - sempre sul punto di chiudere per difficoltà economiche, ma sempre orgogliosamente protetto da qualsiasi legame con una casa editrice che avrebbe potuto limitarne l'indipendenza - si è risvegliato, dopo anni di assoluto silenzio, un nuovo interesse, testimoniato da due antologie di scritti apparsi sulla rivista. La prima intitolata "Le cerniere del colonnello" e curata da Paolo Albani, è stata pubblicata nel 1991 a Firenze da Ponte alle Grazie, ed era soprattutto dedicata ad esaminare i rapporti della rivista con i patafisici e gli oulipisti francesi. La seconda, ""Il Caffè" politico letterario. Antologia (1953-1977)", è uscita ora nelle edizioni di Pierluigi Lubrina, curata da Gaio Fratini.
Quella di Fratini, come lui stesso racconta nella sua introduzione, è stata un'impresa lunga, difficile e anche dolorosa. Innanzi tutto perché Fratini era stato personalmente e profondamente coinvolto nella pubblicazione del "Caffè", ed è sempre particolarmente arduo rimettere le mani su un materiale che rappresenta una parte della propria storia. E poi per la difficoltà di orientarsi, scartare, scegliere in una congerie di materiali in cui, come Fratini senz'altro confessa, accanto alla letteratura "alta e innovativa" brulicavano gli scritti dei collaboratori "informi" o finti "innovatori" E tutta quest'area "bassa" del "Caffè", da sempre, aveva provocato in Fratini fastidio e intolleranza, anche se buona parte della paccottiglia accumulata aveva indubbiamente contribuito a creare il tono caotico, giornalistico, difforme e provocatorio della pubblicazione.
Le scelte di Fratini si muovono quindi nel campo della letteratura "alta", e privilegiano in particolare gli interventi di carattere satirico. Ciò non solo perché Fratini, che è un fine epigrammista, preferisce naturalmente il genere letterario che gli è più vicino, ma anche perché nella satira è forse possibile individuare un preciso punto di riferimento all'interno del mondo del "Caffè" un legame capace di unire i più disparati interventi, secondo l'intuizione che vede nel genere satirico un riflesso dell'insoddisfazione, del dolore e della dimensione tragica della vita. Del resto, spiega Fratini, è proprio un passo di Baudelaire sull'origine del riso che gli è venuto in soccorso nel lungo lavoro di selezione dei materiali. "Nel paradiso terrestre - scriveva Baudelaire - cioè nel luogo dove all'uomo sembrava che tutte le cose create fossero buone, la gioia non si esprimeva col riso. Nel paradiso delle delizie il riso e le lacrime non possono mostrarsi. Sono ambedue figli del dolore, e sono nati perché il corpo dell'uomo snervato, mancava di forza per contenerli".
All'interno del "Caffè", dunque humour e satira politica si combinano in una dimensione dai riflessi tragici. E in questa luce Fratini seleziona "Il breve catechismo del benpensante" (1959) attribuito ad Albacin (autore spagnolo che avrebbe consegnato il testo a Vicari prima di scomparire per sfuggire ai poliziotti di Franco), o la descrizione di un nuovo modello di società fornita dalla "Decapitazione dei capi" (1969) di Italo Calvino, che propone un sistema politico basato sull'uccisione rituale dell'intera classe dirigente a intervalli di tempo regolare, o i "Delitti esemplari" (1969) di Max Aub, o ancora il gelido brano sui "Plotoni d'esecuzione" (1961) del messicano Julio Torri. E poi, inevitabilmente, uno scritto ormai classico della pedagogia della rivolta, "Franti, o il cuore" di Eco, che era apparso sul "Caffè" nel 1962.
Alle loro spalle si collocano i testi dei "padri", riproposti nel corso degli anni dal "Caffè" in una singolare galleria di interventi che comprende Collodi ("Giornali e giornalismi") come Jarry, Dossi ("Note azzurre") come Majakovskij. Seguono infine le testimonianze del dibattito "teorico" sulla satira che aveva investito le pagine della rivista verso la fine degli anni sessanta. Ancora godibilissimi sono il breve contributo di Manganelli ("È ascetica e puttana"), che scorgeva nella letteratura "un fondamentale elemento di disubbidienza", una forma di "satira totale", una `'pura irrisione", anarchica e felicemente deforme", e un saggio, più ampio e articolato, scritto a quattro mani da Giambattista Vicari e Cesare Milanese ("L'irrisione per un baccanale della crudeltà") che proclamava l'esigenza di "oltrepassare i limiti del riso per giungere al turbine di una crudeltà sistematica". Calvino, in tono apparentemente più cauto, interveniva con le "Considerazioni sul sesso e il riso" dove concludeva che solo quest'ultimo, il riso, poteva portare il discorso "all'altezza della terribilità del vivere" e segnare "una mutazione rivoluzionaria".
Un'ultima osservazione, sul gioco di nomi, maschere, trucchi, e personaggi finti che per tutta la storia della rivista ha coinvolto le firme dei brani pubblicati, di cui il vero autore resta in molti casi dubbio o senz'altro sconosciuto. Tra gli pseudonimi ricorrenti appare un "anonimo ginevrino", di cui Fratini riporta un testo, "II P.S a P.P.P.", pubblicato nel 1968. È una risposta alla celebre poesia scritta da Pasolini in difesa dei poliziotti che si erano scontrati con gli studenti, al culmine del movimento di contestazione, nella celebre "battaglia di Valle Giulia". L"'anonimo", talvolta individuato proprio in Gaio Fratini, era in realtà Umberto Eco e il pezzo era destinato a "Quindici". Ma pubblicarlo su "Quindici" in quel particolare momento sarebbe stato ingeneroso, perché avrebbe assunto il tono di contrapposizione frontale a un intervento che rappresentava comunque un atto di innegabile coraggio politico. Aveva preferito quindi, tramite Cesare Milanese che faceva parte della redazione di entrambe le riviste, passare il pezzo al "Caffè'' e l'aveva firmato con uno pseudonimo di sapore goliardico che sarebbe poi ritornato più volte, in diverse occasioni, rimanendo di incerta attribuzione. E anche questo, tra gioco, lotta politica impegno, satira e sberleffo, era perfettamente in armonia con lo spirito della rivista.

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