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Un romanzo breve un po’ ostico e in alcuni tratti, per me, di difficile lettura. Il protagonista è ben delineato e ho apprezzato le sue azioni e il suo carattere. Complessivamente però il libro non mi ha colpito.
Un colpevole silenzio circonda l’opera straordinaria e scandalosa di Jouhandeau. In questo volumetto, arricchito dall’esauriente postfazione di Ena Marchi, chi assomma in sé le due anime dell’autore (devote e perverse, celestiali e diaboliche) è il settantenne padre Diverneresse, alto, magro e legnoso, coltissimo e sprezzante, silenzioso e irascibile: parroco nella chiesa di Port-Salut con fama di santo e stregone. Chiuso nella sua fornitissima biblioteca, si dedicava a studi di teologia e biologia, alternandoli con piccoli lavori di giardinaggio o falegnameria. L’impegno a cui meno sembrava interessarsi era invece la cura delle anime a lui affidate, che giudicava meschine e ignoranti, lontane da Dio e indifferenti alla lezione evangelica. Nella canonica, occupandosi della sua sopravvivenza materiale, si erano alternate due perpetue: l’onesta e ottusa Miette, e l’algida intellettuale Angèle. Il disprezzo nutrito per la prima era stato sostituito da un intenso affiatamento spirituale con la seconda, al punto che i parrocchiani, osservando la stretta complicità che univa parroco e catechista, iniziarono presto a sparlare, ipotizzando l’esistenza tra i due di rapporti carnali o di culti satanici. «L’immaginazione della ‘brava gente’ è insaziabile quando si tratta delle turpitudini altrui, le sole che possano distrarla dalla noia della sua ‘mediocre’ virtù, e bisogna ammettere che, per l’immaginazione della ‘brava gente’, l’amicizia è forse un mistero più insondabile del sacrilegio e dell’incesto». Il comportamento del religioso, provocatorio proprio perché incurante del giudizio popolare, finisce per portarlo alla rovina. Denunciato ai superiori, isolato da tutti, allontanato da Angèle, padre Divernesse viene sospeso a divinis e scomunicato, ma ciò gli crea intorno un’aura di santità e ingiusta persecuzione, sfociante in fanatico e idolatra devozionismo, che tuttavia non servirà a risparmiargli una fine solitaria e l’ostracismo ecclesiale post mortem.
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