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Anno edizione: 2019
Anno edizione: 2015
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Un libro che non può mancare nella biblioteca di un germanista: per quanto l'autrice sia australiana, in queste pagine ciò emerge è la Berlino Est e i racconti dei suoi abitanti - e di altri Ossi non necessariamente di Berlino - i quali propongono visioni e ricordi diversi della DDR, per quanto il senso di claustrofobia e oppressione continui a emergere da parte di coloro che avevano provato a ribellarsi, in ogni testimonianza, l'intervistato tende a guardare la DDR con quel velo di Ostalgie tipica di molti. Lo stesso vale per coloro che facevano parte della Stasi, per quanto l'autrice tenda più che altro a descriverli come delle macchiette, creando così uno squilibrio tragicomico tra le due tipologie di testimonianze. La narrazione è piacevole, nulla di eccezionale ma un libro che si fa indubbiamente leggere più che volentieri. Non è comunque privo di difetti, oltre allo squilibrio prima accennato, tendono a essere vagamente fastidiosi i riferimenti continui alla sua vita e alle sue esperienze poco utili ai fini della trama e che a volte cadono in riflessioni che non offrono nulla al lettore che vuole sapere cosa c'era dietro la DDR. Un bel libro comunque, degno di essere letto per sentire la voce di chi, nella DDR, ci ha vissuto davvero. Anche se ogni tanto sarebbe bello leggere di qualcuno né della Stasi né dei ribelli, ma di gente normale che la DDR l'ha semplicemente vissuta.
Un gran bel libro che aiuta a capire tramite testimonianze e interviste come poteva essere la vita nella DDR. Che si un libro di parte non ci sono dubbi, ma questo non è importante secondo me, è politica e non essere di parte è impossibile. Cmq l'autrice ha anche riportato le testimonianze di chi guardava al comunismo con nostalgia. Io centellinavo la lettura perchè non volevo finirlo troppo in fretta :( Bellissimo
Dice la Funder che per comprendere cosa sia stata la DDR è necessario raccontare le storie delle persone comuni, non solo degli attivisti o degli scrittori famosi. E forse è anche più facile, perché consente di non doversi leggere e studiare libri e documenti sull'argomento: basta intervistare qualche sopravvissuto. Operazione anche questa non difficile, poiché stiamo parlando di una storia che è finita meno di un quarto di secolo fa e che anche chi, come il sottoscritto, non è particolarmente vecchio, si ricorda più che bene. Questo è uno dei difetti di C'era una volta la DDR, un libro che fin dal titolo rimanda alle favole per ragazzi, ma che, non so quanto appropriatamente, si trova nel reparto di Storia delle librerie. Gli altri difetti risiedono principalmente nella scrittura della scrittrice australiana, che affronta il libro con un approccio prettamente femminile, sia nello stile che nell'oggetto del racconto: non a caso, dalla parte delle vittime, si trovano quasi tutte donne, mentre dal lato dei "carnefici", gli agenti della Stasi, si trovano tutti rappresentanti del sesso maschile. Eppure, la premessa era che nella DDR un cittadino su sei era un agente del famigerato servizio segreto: che fossero tutti maschi? Poi c'è lo stile della Funder, che indulge fastidiosamente a raccontare particolari inutili ed autoreferenziali, quasi che avesse bisogno di riempire le pagine con notazioni personali, le quali, nell'economia del libro (non lo definirei, come fa la Feltrinelli, "saggio") rivestono un'importanza pressoché nulla. A merito della scrittrice va la passione con la quale racconta le storie di gente comune, la cui vita è stata condizionata, quando non rovinata, dalla presenza pervasiva di un regime che si manifestava spesso attraverso la sua polizia segreta e che si era fatto conoscere dal resto del mondo grazie alla costruzione di un Muro, vigilato dal filo spinato e da guardie pronte a sparare.
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