Dal capitolo iniziale, che affronta il Processo di unificazione nazionale (1848-1870), al conclusivo Trionfo e declino del populismo (2006-2013), Tranfaglia ripercorre la storia d'Italia in dieci tappe. In parte si riallaccia ai propri studi su mafia, fascismo e stampa, che costituiscono punti cruciali anche per la comprensione globale della nostra storia, in parte illumina versanti della parabola nazionale fino a oggi non adeguatamente presi in esame nelle sintesi, come l'analisi delle radici del presente; in questo testo essa è centrata sul rapporto fra neopopulismi e democrazia, poiché la crisi che l'Italia attraversa oggi è al tempo stesso morale, politica e culturale. Il taglio scelto per solcare centosessant'anni di storia è variabile: all'approccio politologico si intreccia quello sociologico, senza che manchino approfondimenti su figure-chiave (Cavour e il "tiranno" Crispi per l'Ottocento, Craxi e lo strano imprenditore Berlusconi per il Novecento), tematiche basilari (l'origine del potere in Italia e le sue ricadute sul modo di esercitarlo, il clientelismo e il sistema della corruzione, le difficoltà sul cammino della modernizzazione, l'inquinamento mafioso) e snodi gravidi di conseguenze (la sconfitta della sinistra garibaldina, la Libia, la paralisi parlamentare del primo dopoguerra e la paralisi decisionale dell'ultimo Pci togliattiano, lo scollamento fra classe politica e popolazione). Le scissioni socialiste, lo scarso realismo dell'alternativa di sinistra alla Dc nelle elezioni del 1948, o l'evoluzione economica, delineano la storia di un paese vivace, ma spesso incapace di correggere le storture e di accettare regole comuni disintossicandosi dalle mentalità di clan; elementi che si sovrapposero alla rigidità del PCI e che causarono una tendenza all'allargamento delle maggioranze, più che al loro dinamicizzante rovesciamento. Nemmeno con Tangentopoli, un cataclisma dopo la bonaccia precedente, si riuscì a innescare un circolo virtuoso. E dire che dal quadro complessivo delle inchieste condotte all'epoca risulta "una situazione di prevalente colpevolezza e di indubbia prudenza da parte della procura". Tale conclusione smentisce non solo i troppi paragiornalisti avvicendatisi negli ultimi anni, ma anche i punti di vista espressi dalla pletora di vecchi e nuovi politici in cerca dell'appoggio di chi controlla fette consistenti di stampa e televisioni. Forse il problema più grave risiede nel basso grado di coscienza civica e nella permeabilità di strati della popolazione a certa propaganda mediatica mirante alla riscrittura del passato e alla svalutazione di ruoli, istituzioni e figure chiave per la conduzione del paese. In che termini, però, possiamo giudicare una nazione dove non si è fatta luce sulle stragi se non con decenni di ritardo e in misura assai parziale, e i cui organi istituzionali non hanno concesso per ben diciassette volte l'autorizzazione a procedere contro Andreotti, senza tralasciare i condizionamenti atlantici e vaticani o il trattamento giudiziario riservato agli aguzzini di Bolzaneto per l'assenza in Italia del reato di tortura? Proprio per capire in che modo, nonostante tutto questo, l'Italia abbia potuto sopravvivere, vanno lette queste pagine, che, con acribia, ricongiungono i tasselli di un lungo mosaico. Daniele Rocca
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