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Il critico d'arte francese Jean Clair da anni porta avanti una sua coraggiosa,e soprattutto anticonformista,denuncia del declino e dell'imbarbarimento dell'arte contemporanea: critica che alcuni hanno voluto leggere come reazionaria. In questo breve saggio pubblicato da Skira definisce in primo luogo quali siano i confini cronologici in cui situare l'arte del '900: dal 1905 (fauvisme,protocubismo, espressionismo e astrattismo: cioé tutte le forme di pittura che facevano i conti con la liberazione dell'inconscio e attingevano alla sfera dell'invisibile e dell'immateriale) al 1968, anno in cui una grande rivolta libertaria sancì in tutto il moondo la distruzione delle regole che garantivano una qualche eternità all'opera d'arte. In questo periodo pittura,scultura e architettura si confrontarono più assiduamente con la scienza e la filosofia, nutrendosene e arricchendo il proprio spessore creativo. Da allora, si è iniziato a snobbare la norma,la tradizione,l'insegnamento,la tecnica e la manualità: oggi tutto diviene arte,ogni gesto si autoproclama artistico. Clair oppone a questo "totalitarismo degli imbecilli" il ritorno alla creazione delle forme rispetto alla "produzione di immagini", secondo cui "il cosiddetto artista dovrà sorbirsi corsi di strategia,di marketing..ma non riceverà nessuna formazione specifica nel suo mestiere né nelle tecniche per praticarlo." Si salvano da questa mercificazone desolante solo pittori come Lucien Freud, Balthus,Szafran,Zoran Music, molto e giustamente amati dal pubblico (nota per l'editore: Music è morto nel 2005!).Artisti che nascono nel solco di una tradizione e di una temperie culturale,che sanno sfruttare e far fruttificare. E' necessario che oggi si abbia l'umiltà di tornare a studiare, ripercorrendo la storia dell'arte dalle origini, per non soccombere a quell'estetica del disgusto che sembra aver preso il posto dell'estetica del gusto,dominante dal 1750 al 1970.
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