"L'atelier dello scultore Brancusi, la prima volta che lo vidi, mi fece più impressione di una cattedrale. Ero sopraffatto dal biancore e dalla luminosità dell'ambiente. Entrare nell'atelier di Brancusi era come penetrare in un altro mondo: il bianco, che è dopotutto la sintesi di tutti i colori dello spettro, il bianco si estendeva perfino alla stufa di mattoni costruita a mano e alla sua lunga canna e veniva qua e là enfatizzato da qualche trave di quercia appena sbozzata o dall'aureo metallico luccichio di una levigata forma dinamica ritta su un piedistallo. Nell'atelier non c'era nulla che fosse uscito da un negozio, neppure mobili e sedie. Un solido cilindro in gesso bianco di due metri circa di diametro fungeva da tavolo, mentre le panche consistevano in un paio di ceppi d'albero scavati. Piccoli cuscini sparsi qua e là rendevano i sedili più invitanti. Mi recai da Brancusi per ammirare la sua opera, e anche con l'intenzione di fargli un ritratto da aggiungere alla mia raccolta. Non appena affrontai l'argomento si accigliò: non amava farsi fotografare. Gli sarebbe invece piaciuto avere delle buone fotografie delle sue sculture; fino ad allora le rare riproduzioni che aveva visto erano state una delusione. Mi mostrò una foto che gli aveva mandato Stieglitz, fatta durante la mostra di New York. Ritraeva una scultura in marmo, e sia la luce che l'inquadratura erano perfette. Era una bellissima fotografia, riconobbe, ma non rappresentava il suo lavoro. Soltanto lui avrebbe saputo come fotografarlo. Ero disposto ad aiutarlo nell'acquisto del materiale necessario e a dargli qualche lezione? Ben lieto di fargli una cortesia, il giorno dopo uscimmo per comprare un apparecchio fotografico e il relativo treppiedi. Gli suggerii il nome di un laboratorio per lo sviluppo delle foto, ma anche lo sviluppo voleva farlo da solo. Così si costruì una camera oscura in un angolo dell'atelier, tutto da solo, come faceva per qualsiasi cosa gli fosse necessaria. Naturalmente l'esterno della camera oscura fu imbiancato a calce in modo da fondersi col resto e risultare invisibile. Lo aiutai a scattare la prima foto e gli mostrai le operazioni da compiere nella camera oscura. Da allora in poi lavorò da solo senza più consultarmi". (Man Ray)
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