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Se Born to die era già perfetto, con la Paradise edition lo diventa ancora di più. Gli otto brani extra completano il viaggio californiano in cui ci trasporta Lana del Rey, la cui voce ci accompagna fra ballate malinconiche e brani più rock degni dei migliori anni '90. Probabilmente la sua fatica più riuscita
I love this CD.
"Born To Die" è un album di musica pop, e la musica pop non ha l'autenticità come requisito primario. Ciò che resta evidente è la sua capacità di scrivere canzoni che assorbono illusioni e speranze della sua generazione. Se Nancy Sinatra è il riferimento evocato, non vanno taciuti altri illustri precedenti: Bobbie Gentry, Peggy Lee, Dusty Springfield, Lulu, Julie London potrebbero sostituire l'immagine di Lana Del Rey in copertina senza alterarla. Il look da femme fatale in bilico tra Marlene Dietrich, Judy Garland e Jessica Rabbit nasconde quel po' di svogliatezza e fragilità che può a tratti rendere il tutto goffo, ma tradisce la presenza di emozioni. "Video Games" resta un autentico fulmine a ciel sereno per la musica pop, è la sua "Time After Time" - anche se non ci sarà Miles Davis a traghettarla verso l'eternità. Anche le ambigue costruzioni letterarie e sonore di "Blue Jeans" sono capaci di rivelare dettagli a ogni ascolto, con pulsioni trip-hop adatte alle doti interpretative di Lana. Trasferitasi in Scozia, la cantante riversa il suo passato "made in Usa" nelle inflessioni soul della intrigante e disturbante "Off To The Races", un soul-hip-hop oscuro e malsano che acquista spessore dopo più ascolti trasformandosi da un probabile pasticcio armonico in una versione punk-pop dei Portishead.
Recensioni
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