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Finalmente un libro irriverente, ben scritto, intelligente, fazioso quanto basta per far rimescolare sangue e idee sul jazz e non solo la tesi è semplice: il jazz nasce come anelito di libertà, rottura, come esigenza espressiva sempre in divenire, luogo di integrazione e lotta per eccellenza. Oggi invece assistiamo all'ennesimo tentativo di incasellamento e di riduzione a sorta di "musica classica" dove esiste solo un repertorio da ripetere all'infinito, solo che il potere delle case discografiche rende questo tentativo più preoccupante che mai. Forse il jazz è morto, forse non è mai esistito, ed esiste solo il bisogno espressivo, che deve lottare incessantemente contro i fanatismi. Insomma un godibile, appassionante e vivace antidoto contro i paludamenti e le chiusure mentali sempre in agguato, fortemente consigliato accanto a letture più "colte", Zenni, Cerchiari, Franco, per citare solo alcuni italiani
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