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recensioni di Sala, R. L'Indice del 2000, n. 04
Piuttosto insolito il taglio di questo libro: innanzitutto perché scritto in un linguaggio diverso da quello cui il lettore di questioni bioetiche è abituato, ma anche per l'originalità della prospettiva di indagine, trattandosi di un punto di vista insieme filosofico e psicologico, in cui l'attenzione è indirizzata ai risvolti relazionali delle scelte morali. Intento generale è mostrare come la bioetica sia "la forma consapevole e intellettualmente meditata in cui è maturata l'inquietudine suscitata dal potere della scienza su di noi e contemporaneamente il frutto della riabilitazione della filosofia pratica che la riflessione critica su tale potere ha prodotto negli ultimi vent'anni". Il tentativo di tracciare una sintetica storia dell'etica occidentale - entro la quale collocare le ragioni della nascita della bioetica - è forse un po' troppo ambizioso; anche l'indagine sulla crisi della ragione è troppo succinta per risultare convincente, e i numerosi riferimenti non sono sempre utilizzabili da chi voglia addentrarsi in questa ricerca tanto interessante quanto complessa. Tesi di fondo è mostrare come la bioetica debba in questa fase del suo sviluppo prendere coscienza dei suoi limiti concettuali, riconducibili alla "scarsa attenzione riservata finora alla fondazione epistemologica della medicina, al suo attuale disorientamento, alla frequente perdita cioè della tensione alla conquista della salute umana" e, soprattutto, "alla crescente consapevolezza della natura intrinsecamente relazionale dell'essere umano che si oppone a qualsiasi tentativo di ridurlo ad individuo avulso dal contesto intersoggettivo di cui fa parte". La prospettiva entro cui discutere le singole questioni di bioetica - ovvero la questione dell'embrione, la fine della vita umana, la clonazione - è proprio quella di un'apertura alla dimensione relazionale e sociale della medicina e delle scienze biomediche, che consenta di concepire i pazienti come cittadini, fonti di diritti e soggetti a pieno titolo del dibattito pubblico. Affermare l'esistenza di un contesto relazionale significa favorire un dialogo che per sua stessa natura è destinato a non finire mai, laddove ogni posizione raggiunta esige di essere superata; è del resto la stessa vita umana a non essere riconducibile a un significato univoco, che possa affermarsi validamente come immutabile nel tempo, e che quindi va sempre daccapo indagato e approfondito, fatto oggetto di continuo confronto.
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