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scheda di Boni, S. L'Indice del 2000, n. 02
Berlino, 1929. Alcuni amici hanno l'abitudine di incontrarsi in un caffè del centro per discutere di arte, letteratura e politica. Un giorno nasce l'idea di girare un film, Uomini di domenica (Menschen am Sonntag), che riscuote uno straordinario quanto inaspettato successo di critica. I protagonisti di questa entusiasmante avventura diventeranno alcuni tra i più famosi e originali registi del cinema hollywoodiano. Stiamo parlando di Robert Siodmak, Fred Zinnemann, Edgar
Ulmer e Samuel "Billy" Wilder. L'incendio del Reichstag e l'ascesa politica di Hitler li costringono a lasciare l'Europa per trovare negli Stati Uniti una seconda patria. Wilder sbarca a New York nel 1934, su invito del grande regista tedesco Joe May, e inizia a scrivere sceneggiature per Ernst Lubitsch (L'ottava moglie di Barbablù e Ninotchka), Howard Hawks (Colpo di fulmine) e Mitchell Leisen (La signora di mezzanotte, Arrivederci in Francia e La porta d'oro). Nel 1942 dirige il suo primo film americano, Frutto proibito, al quale farà seguito un'impressionante serie di capolavori. Affrontare l'opera di Wilder non è impresa facile. Leonardo Gandini, nel suo prezioso volume, riesce nel difficile compito di attraversare quarant'anni di cinema americano con precisione e disinvoltura, isolando i momenti chiave del cinema di Wilder e analizzandone gli strumenti espressivi. Particolarmente interessante è il capitolo dedicato all'autobiografismo au contraire del regista galiziano, che amava mettere in scena storie di americani in Europa, rappresentando con intelligenza e ironia lo scontro tra culture e costumi spesso molto lontani tra loro. Film come Il valzer dell'imperatore (1948), Scandalo internazionale (1948), Stalag 17 (1953), Arianna (1957), Uno, due, tre! (1961), ma anche - indirettamente - Sabrina (1954), disegnano una straordinaria galleria di personaggi alle prese con un continente di cui conoscono soltanto gli stereotipi. Va inoltre citata la passione di Wilder per il travestitismo e, più in generale, per il rapporto identità/finzione, che trova la sua massima espressione nei due capolavori del 1958, A qualcuno piace caldo e Testimone d'accusa. Gandini sottolinea poi il profondo valore metacinematografico dell'opera di Wilder, che si fa più esplicito in Viale del tramonto (1950) - con i grandi protagonisti del muto Gloria Swanson e Erich von Stroheim - e Fedora (1978), dedicato a una celebre stella hollywoodiana morta suicida. Il saggio è arricchito da un'ampia filmografia analitica che riesce da sola a testimoniare la grandezza del corpus wilderiano.
Stefano Boni
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