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«Ero un brav’uomo, dopotutto. Frequentavo scapestrati, sgualdrine, tipi duri e bersagli facili, spiavo dal buco della serratura di camere da letto poco raccomandabili, procuravo conferme ai gelosi, mi nascondevo dietro i muri come un ratto, mettevo la mia pistola al servizio di chiunque fosse disposto a darmi cinquanta dollari al giorno; ma in fondo ero un brav’uomo». Lew Archer, il detective creato dalla penna di Ross Macdonald, si presenta così, con toni cinici e disincantati e una vena di caustica (auto)ironia, ai lettori di «Bersaglio mobile», la prima delle diciotto crime stories ambientate sulle mean streets della California postbellica che lo vedono protagonista. Il private eye, ingaggiato per rintracciare Ralph Sampson, un ricco ed eccentrico petroliere, dovrà dar fondo alle proprie doti investigative per destreggiarsi nell’intricato groviglio di menzogne, insidie e passioni intessute da coloro che gravitano intorno alla figura del magnate scomparso: famiglia, entourage e una pletora di individui equivoci attratti dalle sue cospicue sostanze, nessuno è davvero innocente. È chiaro che i cliché della letteratura di genere risultano tutti rispettati, ma il romanzo sa comunque distinguersi per l'eleganza della scrittura, l’artificiosa ma intrigante originalità dei dialoghi hard boiled, lo scavo psicologico dei personaggi e un affresco disincantato della società americana che ben ne rappresenta l’intrinseca violenza e le aporetiche contraddizioni ìnsite nel suo modello individualista. Dal romanzo fu tratto il bel film «Detective’s Story» con Paul Newman nei panni di Archer (rinominato Harper su richiesta dell’attore dagli occhi di ghiaccio), Lauren Bacall, Robert Wagner, Shelley Winters, Janet Leigh e una giovane Pamela Tiffin di sfolgorante bellezza.
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