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All’età di 23 anni si era imposto in un concorso in cui era in palio l’unica cattedra di Storia dell’arte messa a concorso in Italia. Forse nulla di eccezionale per uno come lui apparteneva a quel giro di giovani intellettuali finiti sotto l’ala di Giuseppe Tomasi di Lampedusa: c’erano Francesco Orlando, Antonio Pasqualino, Gioacchino Lanza Tomasi, Francesco Agnello e c’era lui, Ubaldo Mirabelli. Tanti possono essere giovani promettenti, ma Mirabelli mantenne tutte le promesse, vivendo una vita piena, conclusa a 87 anni nel 2008: la famiglia annunciò la sua scomparsa con due giorni di ritardo, a confermare riserbo e discrezione che caratterizzarono l’esistenza dell’acuto musicologo, insegnante e saggista di lungo corso, uno dei principali intellettuali novecenteschi di Palermo. Città che però lo tiene nell’ombra, magari ricordando e celebrando altri. Fa specie ancor di più dopo che il capoluogo siciliano ha tenuto per un anno lo scettro di capitale della cultura italiana del 2018.
Dalla bolla di oblio in cui è stato confinato prova a tirarlo fuori un libraio attento e preparato, il monrealese Salvatore Cangelosi, che da decenni lavora nelle librerie di Palermo e ormai da lungo tempo ha fatto della Feltrinelli di via Cavour la sua casa. Cangelosi non si limita a consigliare volumi a lettori di ogni generazione e a dare dritte anche a qualche più giovane collega ed erede. Da qualche anno coltiva anche la scrittura. Il suo frutto più recente è Basco blu (59 pagine, 9 euro), edito da Torri del Vento, non un semplice omaggio a Mirabelli, ma una storia di formazione, quella dell’autore, il ritratto di una stagione in archivio, di intellettuali preziosi e di una città alle prese con una lunga battaglia, quella Palermo senza teatro Massimo: chiuso per restauri dal 1974 al 1997, con Mirabelli sovrintendente dal 1977 al 1995. Maestranze, organici e artisti – provando a reinventarsi nel teatro Politeama – sotto la guida di Mirabelli e, non va dimenticato, del direttore artistico Girolamo Arrigo, fecero miracoli, inanellando successi, aprendo anche le porte del teatro, portando la musica nelle piazze, nelle chiese, nelle scuole. Eppure questo non è bastato per avere qualche riconoscimento pubblico in più. Qualcosa del muro con cui ha fatto i conti la memoria di Mirabelli si legge nella circostanziata postfazione storica di Piero Violante.
Basco blu di Salvatore Cangelosi è il ritratto umanissimo di un individuo schivo e coltissimo, perfino ritroso, forse “antipatico” per chi non ha avuto la ventura di conoscerlo personalmente: un austero erudito, Mirabelli, che Cangelosi conobbe nei lontani anni Settanta. Fra timidezza e timore, il giovane libraio seppe trovare la chiave per un dialogo e un legame. Inizialmente molto squilibrato, visti i tanti consigli musicali, teatrali e di letture dispensati da Mirabelli a Cangelosi, ragazzo della provincia all’inizio della carriera. La volontà, a lungo covata, di rendere un tributo al vecchio amico (divennero «insospettabilmente amici»), s’è trasformato in un impeto di nemmeno sessanta pagine dense sulla quotidianità e sulla vita pubblica di un uomo che come pochi era capace di fare amare la cultura, magnete e polo d’attrazione. Tanti palermitani hanno amato e amano Ubaldo Mirabelli, ma Palermo l’ha amato abbastanza?
Recensione di Arturo Bollino
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