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Anno edizione: 2018
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Indice
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Dei quindici saggi compresi in questo volume einaudiano, alcuni sono direttamente autobiografici: in essi Durs Grünbein non utilizza pretesti narrativi per parlare di sé e della sua produzione in versi, ma racconta semplicemente come è nata la sua vocazione di scrittore, negli anni “grigio cenere” dell’adolescenza a Dresda, quando si imbatté per caso in Novalis e Hōlderlin. O ancora prima, quando bambino imparava dal nonno, valente enigmista, “l’appetibilità che hanno le parole”. Nella conclusiva “Postilla su me stesso” offre poi ai lettori una lucida decifrazione del senso e della funzione della scrittura poetica. “Scrivere poesie è anzitutto un esercizio di radicale autoesplorazione”: da questo assiduo e severo scandaglio interiore, ogni poeta, “eremita in mezzo alla società”, impara “a essere solo, non conforme, senza obblighi verso nessuno, ‒ verso nessun potere esterno, verso nessun principio superiore (religioso o filosofico), neppure verso una corrente letteraria predominante”. Purché la poesia non si riveli puramente ornamentale o cerimoniosa, ma sappia mostrare “i propri muscoli, il proprio ghigno irriverente, la dolcezza che si prova nel distruggere le forme”, allertandosi nell’osservazione dell’attimo rivelatore, dei dettagli sparsi nelle “piccole cose tragiche come pure nelle grandi cose comiche della vita”. Perché il poeta è, e deve continuare a essere, anche filosofo, in grado di conciliare cielo e terra, l’ideale con il concreto, producendo nei suoi versi “una mescolanza di amore per l’aldiqua e di curiosità per la metafisica”: fenomenologo che lavora per arricchire l’immaginario di ciascuno di noi.
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