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Culicchia rende ora giustizia, con urgenza, alla memoria di Ada: figlia di un operaio fascista che ha fatto la Marcia su Roma, a sua volta operaia, comunista e madre di un brigatista.
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Semplice, un po' didascalico ma ppassionante fino agli anni Settanta nell'intreccio tra Storia e vita privata. Poi rallenta, si fa ripetitivo, si fa strada a fatica nel ricostruire quello stesso intreccio. Sì sente un desiderio di oggettività nel mettere in sequenza la violenza di destra e da sinistra e l'autore si fa partigiano del cugino perché tale. Difficile esserlo diversamente. La storia dovrebbe essere focalizzata su Ada, la bambina che non doveva piangere, ma di fatto è Walter che domina la scena. In quest'ottica c'è una grave omissione, la figura di Oscar, il primo figlio, del tutto assente se è vero che Ada è la protagonista. Colpevole Ada di questa assenza o l'autore?
Questo libro affronta argomenti dolorosi e divisivi. Lo specchio di tiro inquadra Ada Tibaldi che, non riuscendo ad accettare la morte del figlio brigatista Walter Alasia, ne cerca a tutti i costi un senso. Una madre corrosa dal peso delle proprie responsabilità: 《E Ada si tortura: perché non è stata capace di dissuaderlo? Perché non lo aveva denunciato lei stessa, prima che commettesse qualcosa di grave, prima che fosse troppo tardi per tornare indietro? No. Questo no. Questo sarebbe stato tradirlo. E se tradendo lo avesse salvato?》 Perché Ada sapeva e fu più di una confidente. Culicchia in quanto cugino più piccolo di Walter ci presenta una pagina degli Anni di Piombo da un punto di vista unico rispetto alle pubblicazioni a tema.
Recensioni
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