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L'opera smisurata di Antonin Artaud è disseminata di numerosi riferimenti all'arte figurativa: si pensi, per esempio, all'importanza attribuita al dipinto Le figlie di Lot di Luca di Leida nell'economia di un saggio capitale come La Mise en scène et la Métaphysique, accolto nel celebre Le Théâtre et son double, apparso originariamente da Gallimard nel 1938. In quel libro Artaud teorizza un "teatro della crudeltà" che, attraverso il magnetismo di tecniche espressive e gestuali derivanti da modelli rituali come quello della danza balinese, sia in grado di soppiantare la tirannia del testo e della parola.
È lecito inoltre rammentare la figura di Paolo Uccello che ritorna ossessivamente, come una sorta di alter ego dell'autore, nelle raccolte di prose L'Ombilic des Limbes (1925) e L'Art et la Mort (1929), o di quel Van Gogh le suicidé de la société (1947) in cui confluiscono molti dei topoi radicali dell'ultimo Artaud: in primis la violenta ripulsa di ogni forma di religiosità a favore di un approfondimento delle tematiche associate alla dinamica del corpo e della fisicità, espresse anche nell'attività grafica.
Esce ora, a cura di Paola Lalario, un volume contenente alcuni contributi dello scrittore francese dedicati ad artisti a lui particolarmente congeniali come Balthus, André Masson o Jean de Bosschère. In realtà si tratta di una raccolta di brani compositi in cui un più marcato orientamento critico, come nel caso dei testi dedicati a Balthus, si alterna a divagazioni di stampo onirico e visionario, legate alla temperie surrealista, come nel caso delle prose composte negli anni venti, suscitate dalla visione di dipinti particolarmente suggestivi: si pensi a Un ventre fin, ispirato al quadro di Masson intitolato Homme ("E io ho descritto questa pittura con le lacrime, perché questa pittura mi tocca il cuore. Ci sento il mio pensiero dispiegarsi come in uno spazio ideale, assoluto, ma uno spazio che avrebbe una forma intraducibile nella realtà. Io vi cado dal cielo") o all'Automate personel che riprende, fin dal titolo, una tela dipinta da Bosschère.
Diverso è l'interessamento per la pittura di Balthus, geniale autore del décor e dei costumi della tragedia Les Cenci, rappresentata senza successo al Théâtre des Folies-Wagram nel 1935 come una sorta di concretizzazione delle teorie afferenti il "teatro della crudeltà". Qui Artaud rileva le affinità ma, soprattutto, le divergenze con l'opera dei surrealisti. La pittura di Balthus conserva infatti le stesse caratteristiche tese all'esplorazione di un mondo onirico già manifestate dai surrealisti, differenziandosi tuttavia per un chiaro recupero di un linguaggio formale derivante dalla lezione anti-psicologica dei primitivi italiani.
Se la traduzione viene condotta sulla falsariga di un'aderenza al testo accettabile, anche se a tratti troppo letterale, la curatela appare qua e là lacunosa, come quando, nella nota presente a p. 81, si dichiara che "Cécile Bressant era il nome di scena di Robert Denoël". In realtà, Cécile Bressant, moglie di Robert Denoël, amico ed editore di Artaud, interpretava Lucrétia nella succitata tragedia Les Cenci, a fianco dello stesso autore nel ruolo di protagonista e a lady Iya Abdy (attrice tra l'altro mirabilmente ritratta in un dipinto dello stesso Balthus) nella parte di Béatrice.
Pasquale Di Palmo
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