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Che i giovani e gli anziani siano in conflitto è ormai cosa assodata: è una questione generazionale, una diversa visione morale, quasi una contingente necessità sociale. A questo manca, alcune volte, la voglia di capire, di accettare le condizioni primitive della specie e il mondo che cambia. E se nel cattivo dialogo è l'ideologia politica a far capolino, lo scontro non è più solo teorico, è feroce. Un giovane extracomunitario e un vecchio parlamentare si incontrano come nelle migliori delle storie italiane: il primo cerca lavoro e il secondo qualcuno che lo accudisca. Nel mezzo una carrozzella che trasporta il corpo ormai paralizzato del politico, tinta di rosso, come quel comunismo portato nel cuore. Il badante di Che Guevara è l'ironica storia che Mario Castelnuovo ha tirato fuori dal cilindro, o forse meglio, dall'asta e dal microfono che prima utilizzava per cantare.
Un esordio narrativo che gioca con impeccabile astuzia su alcune tematiche del nostro contemporaneo. Mentre il vecchio ha vissuto il suo credo politico tralasciando gli affetti e la famiglia, il ragazzo è fuggito dalla disperata condizione di povertà del comunismo applicato. E se Che Guevara (questo il soprannome con cui l'anziano viene chiamato) ha oggi un appartamento elegante a Roma, una villetta al mare e un'ottima cultura, lo straniero dell'Est Drogo (nome salgariano dato per il suo atteggiamento di attesa davanti alla finestra) ha una laurea, tanta voglia d'amore, ma non un euro nella tasca. È un confronto impari, che, fin dall'inizio, stabilisce ruoli e carnefici, all'insegna di un comunismo orami annebbiato. Così la contraddizione del vecchio si scontra con la voglia di vivere del giovane, ne riaccende l'ardore politico e la voglia di comprendere.
Castelnuovo non traccia una storia inedita, per cui valga la pena soffermarsi in passaggi narrativi eclatanti. Sono giornate noiose, uguali a se stesse nella mediocrità del tempo atteso per una passeggiata o il silenzio delle mura domestiche. Ma ciò che coinvolge nelle poche pagine di romanzo scritte in maniera esemplare, di scorrevole piacevolezza è l'intimità. Due mondi distanti che apparentemente non possono conciliarsi, mentre a conti fatti, scorrono invisibili e vicini. E come le "convergenze parallele", i due si uniscono nella visione di un comunismo che altro non è che buon senso. Lo sforzo avverrà dopo i litigi velenosi che portano all'umiliazione: le battute velenose di Che Guevara sulla cattiva condotta sentimentale del suo badante (il giovane ha due ragazze che vorrebbe con sé, entrambi come mogli); la violenza e l'orgoglio di Drogo, che sbatterà a terrà l'invalido per aver ricevuto un'offesa classista; la solitudine che colpisce entrambi e che li scaglia l'uno contro l'altro. É un mondo quotidiano, quello raccontato da Mario Castelnuovo, così scontato che duramente lo si digerisce leggendo. In questo romanzo fuoriescono le contraddizioni del nostro vivere quotidiano, il nostro razzismo celato, la paura della vecchiaia e la necessità di una vita serena, oramai stanca di ricercare costantemente una stabilità. Così, sebbene ci si possa immaginare nell'uno o nell'altro personaggio, in questo libro veniamo rappresentati. Quel comunismo, ancora di uguaglianza, non esiste più, è crollato dalla cima del muro andato in frantumi anni fa. Esiste invece la necessità di cambiamento; esistono le difficoltà e la nostra diffidenza. Esistono forse anche un badante e un Che Guevara italiano, ma, almeno nei romanzi, hanno imparato a comprendersi.
Gabriele Ametrano
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