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Anno edizione: 2011
Anno edizione: 2018
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Presupponenza che scivola nel ridicolo. Per un libro talmente privo di idee che neanche la smisurata tracotanza dell’autrice riesce a colmare.
La Murgia, tracotante di boria e arroganza, decide di dare il proprio contributo, non richiesto, alla storia della Chiesa, il risultato è un monologo autocelebrativo privo di ogni presupposto obbiettivo. Confuse ovvietà progressiste vorrebbero supportare, senza originalità, la visione femminista dell’autrice.
L'ho sentito freddo. Scontato. Non mi pare riesca a gettare nessun seme. Forzato forse. Scusate, ma non mi è piaciuto.
Recensioni
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Non bisogna sbagliare. Per presentare questo libro è necessario scegliere le giuste parole, il tono più corretto, lo sguardo meno partigiano.
Come per prima ha fatto Michela Murgia nelle sue pagine.
Innanzitutto ricordiamo che parliamo di una scrittrice cattolica, che ha studiato teologia, che è stata animatrice in Azione cattolica e che si definisce credente.
Dunque la sua visione dei fatti non si presta a una lettura né atea né particolarmente laicista.
È una donna, certo, e questo potrebbe essere usato contro di lei...
Nasce da un convegno organizzato in Sardegna - ma è solo l'inizio di un approfondito studio - questa riflessione ampia sulla figura della donna nella religione cristiana e cattolica e più in generale nella società, oggi come ieri.
Sì, come ieri, perché ancora siamo ben lungi dall'avere una rappresentazione paritaria dell'uomo e della donna, una situazione che non conduca le donne ad "assumersi nel tempo carichi di dolore, sforzo e responsabilità relazionale sempre più gravosi".
Per dimostrarlo (e per comprenderne le origini), la Murgia ci conduce in un viaggio attraverso le parole delle sacre scritture come delle pubblicità-progresso ministeriali, tra le pagine di cronaca dei giornali e dell'apologeta eretico Tertulliano, nelle pieghe della religiosità popolare e tra gli attrezzi ginnici e la chirurgia estetica.
C'è una logica in tutto questo?
Certo, eccome, ed è quella che vuole la donna poco protagonista e molto succube, oltre che colpevole, nella vita e nella morte.
Proprio dalla morte parte la sua riflessione. Se le donne sono omesse dallo spazio pubblico di rappresentazione della morte e della sofferenza, se non in qualità di vittime, è ben chiaro invece che "la colpa della mortalità dell'essere umano, insieme a tutta la condizione di fatica e limite propria all'esistenza è di Eva, archetipo primo del genere femminile".
Con Maria e Gesù "si chiude il cerchio aperto dalla disobbedienza di Eva e di Adamo nel paradiso terrestre", ma ancora una volta è la morte maschile ad essere lo strumento salvifico, mentre per i fedeli "la madre di Gesù non è mai morta". La figura di Maria e l'evoluzione che ha avuto tra teologia ufficiale e religiosità popolare, fa da filo conduttore a un discorso che però si rivela molto più ampio.
La condanna dell'uomo è il lavoro, la fatica, il sudore, quella della donna è ben più grave: il dolore, in particolare partorire con dolore. E la donna che non partorisce nella sua vita? vive sulla terra "come una specie di latitante". Non parliamo poi del dibattito teologico nato sul tema del parto indolore quando si iniziò a praticarlo...
L'analisi di Michela Murgia è tutt'altro che acritica. Sottolinea invece tutte le incongruenze, gli errori, i giochi politici e teologici maschilisti della Chiesa cattolica che hanno perpetuato nei secoli una visione della donna che tutte noi, indipendentemente dal nostro credo religioso, ci portiamo addosso.
Illuminanti le pagine che ci raccontano come la Madre di Cristo sia la donna del sì, di un sì supremamente libero e anticonformista che tuttavia è stato presentato "come la sublimazione spirituale di tutti i sì pretesi dalle donne credenti, e non importa che questi consensi fossero assai meno liberi di quello della ragazza di Nazareth".
Il sì al matrimonio come a tutti i rapporti sessuali che desidera lo sposo, alle gravidanze (sempre) e i sì di obbedienza al padre, al fratello, al marito, al prete.
Così come la donna deve dire no quando il suo consenso semplicemente non è previsto.
Se le donne sovvertono queste regole, dicendo no e sì in modo inaspettato e autonomo, specie se parliamo di scelte che riguardano il loro corpo e la loro vita, possono aspettarsi solo riprovazione sociale e punizioni.
Ave Mary ci fa scoprire dunque molti aspetti meno immediati ed evidenti della figura di Maria, e parallelamente ci fa comprendere meglio la collocazione della donna nel contesto sociale occidentale.
"Non c'è niente come la Scrittura per rivelarci quanto sia falsa l'idea di Maria che vogliono darci a bere come docile e mansueta, stampino perfetto di tutte le donnine per bene."
Chiudiamo con una domanda: perché sappiamo tutto delle parabole del figlio prodigo, della pecorella smarrita e nulla della dramma perduta? Forse perché il potenziale sovversivo di un Dio rappresentato come una casalinga disperata - così come la figura di Maria ragazza libera e coraggiosa - oltre che una donna sola, senza padre, marito o figli, era tollerabile solo all'epoca in cui Gesù l'ha pronunciata. E c'è di che riflettere.
A cura di Wuz.it
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