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Melo ci presenta in queste pagine intrise di dolore, due punti di vista: quello dei soldati portoghesi e quello degli angolani della comunità di Calambata, costretti a vivere schiacciati dalla brutalità delle forze dell'ordine portoghesi di cui il poliziotto Valentim è il peggiore e il più spietato rappresentante. Quest'uomo non si limita a picchiare ferocemente gli uomini ormai ridotti a fantasmi, maltratta perfino i bambini già martoriati dai morsi della fame, tematica importante nel romanzo e non si fa scrupolo a perseguitare le donne, vero pilastro del villaggio, donne che nascondono la loro disperazione dietro il rancore verso i bianchi che hanno sconvolto la loro vita, rancore che diventa ossigeno per i loro cuori oppressi e sofferenti, rancore che dà loro la forza di non arrendersi. Uno dei libri più feroci che abbia mai letto, si sente fortissimo il dolore dello scrittore che mette tanto si sè in questa storia in cui oltre agli uomini, è la paura costante della morte a farla da padrone e a rendere perfettamente l'assurdità di questa guerra. L'aspetto più interessante è stato, per me, la volontà dell'autore di far capire a noi lettori non solo il dolore degli angolani, ma anche il lato più fragile dei soldati portoghesi concepiti dal regime solo come macchine da guerra. Melo ci svela infatti i loro pensieri più intimi, le paure più profonde, i desideri di questi giovani uomini catapultati in una guerra insensata, obbligati a uccidere o essere uccisi. Portoghesi, angolani, seppure da prospettive diverse, sono vittime della stessa carneficina che fu la guerra coloniale tra Angola e Portogallo combattuta per più di dieci anni e alla quale prese parte lo stesso Melo che non è riuscito mai più a dimenticarla. Un libro così vero da spezzare il cuore e che diventa una preziosissima testimonianza di una tematica ancora poco conosciuta ed esplorata.
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