"Come mi è piaciuta, pensai, nel corso della vita, la compagnia delle donne": lo dice Pietro Tosca, anziano protagonista di Spavento, il bel romanzo di Starnone uscito nel 2009. Stava forse lì l'annuncio del nuovo Autobiografia erotica di Aristide Gambía, appena pubblicato da Einaudi: non solo perché La bella compagnia delle donne è il titolo della parte più lunga e corposa dell'Autobiografia, ma soprattutto perché Tosca, tutto concentrato sulla malattia e la morte, rimpiange in Spavento la scomparsa della dimensione erotica dell'esistenza, quei momenti che gli paiono i più intensi della vita, ma che la decenza borghese e la lingua della maturità impediscono di nominare, di fatto cancellandoli dalla coscienza: "Di tutto il tempo che ho dedicato al sesso non è rimasto niente, forse solo sequenze dell'abitudine e qualche immagine riflessa in uno specchio, nel vetro di una finestra". Da questo punto di vista, l'Autobiografia erotica di Aristide Gambía completa e rovescia il percorso di Spavento: facendo della vita sessuale del protagonista la materia esclusiva e ossessiva del racconto, il libro nuovo realizza quel proposito che il vecchio Tosca si limitava a evocare di passaggio: "Forse, a momenti, avremmo cominciato a caricare di volgarità verbale i desideri e le furie che, finché il corpo non si era messo a declinare, avevamo soddisfatto quasi senza parlarne, con finezza estrosa e atletica". Fondamentale è infatti nella Autobiografia il nesso tra la rievocazione di un'esperienza erotica trascorsa e la riemersione del dialetto napoletano, lingua d'infanzia di Gambía, per lui inestricabilmente legato alla sfera della corporeità e dell'osceno. La molla stessa del racconto, all'inizio del libro, è rappresentata dalla lettera molto esplicita che un'antica amante napoletana di Gambía, la scrittrice Mariella Ruiz, invia al protagonista, attempato responsabile di editoria scolastica, per rievocare il loro primo e unico incontro, un fugace accoppiamento di trent'anni prima che sembrava passato senza lasciare tracce. La prima reazione di Gambía alla lettera è di turbamento e allarme: "È il linguaggio osceno, pensò, a darmi questa paura di essere colto in flagrante (
). Sì, questo era il punto: sebbene non poche signore negli ultimi vent'anni gli avessero spesso parlato a quel modo, nessuna gli aveva mai scritto, nero su bianco, con quella libertà". Dal turbamento nasce la curiosità, dalla curiosità una frequentazione che diventa confidenza prima, poi gioco verbale, infine riscoperta del passato: l'irruzione di un linguaggio sconcio, vivificato dal dialetto, fa cadere i travestimenti ironici e lo schermo del buon gusto per far posto a una rivelazione: "Grazie a questa donna, grazie a questo suo rappresentare a parole ora riesco a vivere con attenzione ciò che allora ho vissuto senza farci caso". Così Gambía decide di recuperare per intero il suo passato sessuale e farne la lunga autobiografia erotica che occupa il cuore del volume. Ora, il "rappresentare a parole" in cui eccelle una scrittrice come Mariella, e in cui si cimenta Gambía, chiaro "doppio" dell'autore, ha evidentemente a che fare con la scrittura; e non con la scrittura pornografica, ma con la letteratura tout court. Le parole del sesso, osserva il protagonista, sono in fondo nient'altro che metafore, anche quando sembrano molto franche; nonostante si presenti come un libro di contenuto strettamente erotico, se non addirittura pornografico per la ricchezza dei dettagli fisici e per la brutalità esibita dell'enunciazione, l'Autobiografia di Starnone costituisce soprattutto una riflessione sul romanzo, sulla seduzione e sui limiti del "rappresentare a parole". È questo, in effetti, il tema dominante di tutta la narrativa di Starnone, almeno da Via Gemito in poi (da quando cioè Starnone è diventato uno scrittore importante nel panorama italiano). Molto vicino a Labilità e Fare storie per conclusioni e registro, è soprattutto con Spavento e Prima esecuzione che l'Autobiografia intrattiene rapporti strutturali. In tutti e tre questi romanzi l'intreccio fiction affidato a un personaggio d'invenzione a un certo punto si interrompe e si sfalda: il personaggio si schiude ed entra in ballo l'autore, che si interroga sul personaggio stesso e sulla storia che sta raccontando. Alla confusione dei piani temporali si aggiunge la confusione dei piani narrativi, che intrecciano un racconto di fantasia, un racconto autofittivo e una riflessione metaletteraria che li abbraccia entrambi. Gli ultimi libri di Starnone somigliano, per riprendere una metafora di Spavento, a delle città straniere bombardate e stravolte: l'argomento più autentico di questo autore è diventato lo sforzo stilistico di far diventare finto (cioè sensato) ciò che è vero (cioè caotico), e insieme la resistenza che i fatti oppongono all'ordine della forma. Ne deriva un tipo di romanzo che da un lato resiste alla scorrevolezza del racconto di consumo, dall'altro non si fida della verità della testimonianza, e si interroga continuamente su se stesso. Una specie di terza via tra fiction e autofiction: una scrittura "alla deriva" che nasconde la propria consapevolezza artigianale dietro l'ostensione delle incertezze narrative. Nell'Autobiografia il risultato di questa inchiesta sul romanzo approda a una svalutazione dell'eros come strumento di conoscenza. "Il sesso − concluderà Gambía − non ha forza conoscitiva, non libera niente e non libera da niente". Percorre tutto il libro una polemica esplicita verso una generazione, quella del protagonista, che attraverso la rivoluzione sessuale ha permesso agli istinti di sfrenarsi, salvo scoprire che "chi comanda comanda anche i tuoi desideri". Il nuovo libro di Starnone si riallaccia ai precedenti anche in questo suo ritrarre l'autocritica di un (vecchio) intellettuale di sinistra, sempre più indietro rispetto all'immagine migliorata di sé che espone al mondo per difendersi ("Ha sempre desiderato che il mondo si sformasse, ma ogni volta che si sforma il suo mondo, resta a bocca aperta"). La novità è che nell'Autobiografia l'autocritica passa soprattutto attraverso una revisione dei fantasmi erotici del protagonista ("La nostra educazione sessuale è stata veramente molto rozza"). L'autobiografia erotica vera e propria si vuole quindi prosaica e terrestre, a suo modo sensuale, ma sempre priva di luce, imprigionata in un immaginario claustrofobico e penetrativo, realmente senile, dal quale non si esce mai. Alla fine, un'esperienza che non svela ma confonde, impedisce di vedere e di vedersi, e finalmente verifica − ciò che è più doloroso − l'inutilità delle parole: "Non sai parlare delle persone con cui hai scopato, soprattutto se non c'era vera urgenza di scoparsele". Siamo del tutto in controtendenza rispetto a quella linea del romanzo italiano che dagli anni novanta in poi ha cercato proprio nell'eros una riserva di metafisica e mito. Quella di Starnone è invece una consapevole scelta antiafrodisiaca, usata per interpretare amaramente una parte non piccola della nostra storia recente. Una specie di nausea del desiderio che si rivela soprattutto nel finale del libro, in pagine che atterrano nella cronaca italiana degli ultimi mesi: "L'osceno può comporre, volendo, un rigoroso pensiero politico". Gianluigi Simonetti
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