L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
IBS.it, l'altro eCommerce
Cliccando su “Conferma” dichiari che il contenuto da te inserito è conforme alle Condizioni Generali d’Uso del Sito ed alle Linee Guida sui Contenuti Vietati. Puoi rileggere e modificare e successivamente confermare il tuo contenuto. Tra poche ore lo troverai online (in caso contrario verifica la conformità del contenuto alle policy del Sito).
Grazie per la tua recensione!
Tra poche ore la vedrai online (in caso contrario verifica la conformità del testo alle nostre linee guida). Dopo la pubblicazione per te +4 punti
Tutti i formati ed edizioni
Renato Solmi, o della vita offesa
«Il metodo è esperienza vissuta»: è sotto questa massima di Friedrich Gundolf che sembrerebbe potersi porre l’Autobiografia documentaria di Renato Solmi (scomparso due anni fa, poco prima di compiere 88 anni). E la ragione, tuttavia, non risiederebbe nell’occasione di ritrovare, raccolti in un’unica silloge, gli scritti che in larga parte corrispondono alla sua vita e alle attività da lui svolte nei diversi momenti nei quali la sua esistenza si è scandita, quanto nel non potersi distinguere o quasi l’esercizio critico di Solmi da un’insistita ricerca del “peso del proprio sé” nelle opere e negli autori che lo occupino. Ciò appare specialmente evidente nel suo reiterato appuntarsi sui lavori di Adorno, nella convinzione mai abbandonata (lo rivela in ultimo l’intervento del 2003, Adorno, il mio grande maestro) che in essi trovi espressione ciò che in lui si agita in maniera informe e incognita: quella “personale equazione con la vita”, sempre sulla punta della lingua, eppure pronta a dileguarsi non appena la si tenti di pronunciare.
Le stesse affinità che suo padre – il celebre critico letterario ritratto con compassata ammirazione in Sergio Solmi. Una testimonianza personale (2000) – aveva precocemente scorto fra l’amico Giacomo Debenedetti e la Recherche proustiana, in ragione di un comune “spirito mondano ed intellettuale”, paiono riproporsi con analoga intensità nello slancio con il quale le pagine adorniane di Minima Moralia sono state da Solmi introdotte, tradotte e soprattutto difese da quanti, nella cultura filosofica italiana degli anni Cinquanta, vi ritennero di trovare soltanto i germi di un conservatorismo passatista, velato da un gusto estetizzante di impronta nietzscheana. Sfuggiva, in un tempo nel quale – ricordava Leonardo Ceppa nel 1979 sostituendo o, meglio, diluendo e integrando l’ Introduzione ai Minima Moralia curata venticinque anni prima da Solmi per Einaudi – i teologi non avevano ancora buttato alle ortiche san Tommaso, i pochi marxisti erano crociani che passavano a Gramsci e molti ideologi del neoilluminismo propagandavano il pensiero di Dewey come ultimo grido, la peculiare caratteristica dell’“analisi disimpegnata” condotta da Adorno: il suo riuscire, valendosi delle “scorciatoie della dialettica”, a confutare la pretesa del particolare a valere come essenza e a negare in pari tempo il “cattivo universale”.
Il confronto di Solmi con Adorno, fin da subito maturato attraverso la mediazione svolta dal pensiero di Lukács, si sarebbe ulteriormente approfondito alla luce delle analisi da quest’ultimo condotte nel Significato attuale del realismo critico (tradotto dal dattiloscritto originale da Solmi, nel 1957, per Einaudi), e dedicate alla “degradazione ontologica della realtà oggettiva” e alla “correlativa esaltazione della soggettività”, impostesi nelle poetiche letterarie del tardo capitalismo. È però soprattutto sullo sfondo delle riflessioni condotte da Lukács nel Giovane Hegel (pure da Solmi curato nel 1960 sempre per Einaudi) che è possibile meglio comprendere il significato che spetterebbe all’opera di Adorno, anche qualora essa sia posta a confronto – osserva Solmi nelle pagine poste in capo alla fondamentale antologia Angelus Novus – con quella di Benjamin. La sociologia critica di Adorno promuoverebbe un’assunzione nel presente della dialettica del concreto di Lukács, volta da un lato a intendere gli sviluppi complessivi dell’evoluzione delle tradizionali forme di vita e di cultura in una prospettiva storica e, dall’altro, ad aprirsi all’avvenire come realtà concretamente possibile. Ciò del resto sarebbe imposto dall’attualità di quell’“alienazione” di cui già Hegel aveva offerto una lettura assai meno idealistica di quanto potessero suggerire le pagine marxiane di Economia politica e filosofia. Non a caso fra gli insegnamenti hegeliani riaffermati da Adorno, quello che sarebbe necessario mantenere più vivo – secondo Solmi – consisterebbe nel non risolvere la tensione inseparabile dell’esistenza in “una perdita completa di sé in una nuova natura”, bensì nell’accettarla nella sua immanente cogenza.
Recensione di Luigi Azzariti-Fumaroli.
Leggi la recensione completa su Alfabeta2.it
L'articolo è stato aggiunto al carrello
L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
Siamo spiacenti si è verificato un errore imprevisto, la preghiamo di riprovare.
Verrai avvisato via email sulle novità di Nome Autore