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Il poeta giapponese Hara Tamiki si trovava a un miglio dall’epicentro della bomba che cadde su Hiroshima. Fu “come se la pelle del mondo attorno a me fosse stata strappata in un istante”, scrisse di quel giorno e della distruzione prodotta dall’ordigno. Il trauma collettivo che e` seguito a quell’evento si e` riverberato in tutte le forme di cultura giapponesi, ispirando un genere letterario, il genbaku bungaku, e lasciando tracce anche in opere che non parlano direttamente di apocalisse nucleare, in cui l’uomo e` in balia di potenze invisibili e misteriose. Qualche volta, per esempio, puo` succedere che una scuola intera sparisca nel nulla.
Aula alla deriva e` il capolavoro del poliedrico Kazuo Umezu. Uscito in Giappone dal 1972 al 1974, la serie racconta di una scuola elementare che un giorno, in un istante, scompare dalle sue fondamenta, lasciando una voragine nel terreno. D’un tratto gli studenti sentono un boato, e si ritrovano in un mondo desolato dove solo la scuola e` rimasta in piedi, e l’antropocene sembra aver fatto il suo corso.
Una saga horror percorsa da molte dialettiche: quella tra grandi e piccoli (ovvero corpo docente e studenti), tra naturale e artificiale (la strana dimensione in cui si ritrovano sembra inadatta alla vita) e, infine, tra forza bruta e intelligenza. L’aula alla deriva viene gestita da quella che potremmo definire la “classe illuminata” della scuola, gli studenti piu` buoni e preparati; saran- no loro – i secchioni, diciamolo – a prendere in mano la situazione. Almeno all’inizio.
C’e` poi il senso di colpa materno: la madre di Sho, il bambino protagonista, aveva sgridato il piccolo quella mattina, prima dell’Evento, prima che un pezzo di pianeta scomparisse nel nulla, e lui era corso a scuola arrabbiato, lasciandola sola e forse pazza, perche´ unica convinta di sentire ancora la voce del suo bambino. Un capolavoro violento e struggente.
Recensione di Pietro Minto
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