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Fra i libri dedicati al caso Moro, molti -più o meno azzeccati e importanti- che mi è capitato di leggere a partire dal 2018, l'anno del quarantennio, direi che questo si distingue. Non si tratta di una ricostruzione degli eventi dei fatali 55 giorni alla ricerca dei vuoti e degli interrogativi ancora esistenti, ma di un'indagine sull'uomo e sul suo tempo politico e personale, il tempo che gli toccò vivere, parafrasando una sua espressione. Una ricerca dal carattere non scontato, ricca di pathos e di partecipazione, di ricordi personali: a cominciare da quelli di Marco bambino di nove anni che transita andando a scuola dalla stessa via Fani quello stesso giorno, con tutti i vividi ricordi conseguenti. E poi si passa a far rivivere il Moro politico e uomo attraverso le migliaia di scatti e documenti contenuti nell'archivio Flamigni di Oriolo Romano che ne seguono la più che ventennale carriera nella DC. Il Moro visto da Sciascia e da Pasolini: col primo che rimane ossessionato dalle dinamiche del rapimento. E poi finalmente, Moro che sfida la grande politica mondiale, l'equilibrio di Yalta, col suo disegno di far convergere verso il governo il PCI di Berlinguer, volendo superare una staticità che aveva logorato la DC e che avrebbe logorato l'intera politica italiana, attirandosi così l'antipatia insuperata e minacciosa di Kissinger che di quell'equilibrio era la sentinella occhiuta(centrali le pagg 141-50). In questo disegno strategico di Moro, Damilano vede il suo grande apporto alla nostra storia, un disegno che però gli scatena molti rancori, in un'Italia dove la faglia fra comunisti e anticomunisti è tale da scavare nella società abissi di paure e rancore: l'Italia che quelli più anziami di Damilano (come il sottoscritto) ricordano bene. Nell'equilibrio dell'opera, trovo eccessivo il peso dato a Craxi, seppure visto come ultimo grande politico, pur lontano da Moro. Non posso andare oltre, invito quindi a leggere e meditare questo bel libro.
Assieme a una puntuale ricostruzione da cronista dei pochi giorni vissuti da Aldo Moro prima del suo rapimento avvenuto il 16 marzo del 1978, il capitolo di apertura contiene un’originale presentazione di quella giornata filtrata dagli occhi ingenui dell’Autore, allora scolaro di nove anni, con le sue emozioni e lo smarrimento infantile; sono i ricordi di quella data nella quale mutò il corso della Repubblica e, come dice Damilano dalla sua prospettiva anagrafica, «diventammo grandi.» Per chi invece era allora ventenne, la giornata in cui si diventò grandi fu quella della Strage di piazza Fontana; quel 16 marzo rappresentò piuttosto la conradiana «linea d’ombra che ci avverte di dover lasciare alle spalle anche la regione della prima gioventù.» Ma il testo, oltre a una rivisitazione dei giorni di prigionia dello statista ripercorsa anche attraverso un esame dei sui scritti nel covo BR, racchiude tanto altro: è un viaggio nella vita e nei luoghi di Aldo Moro, dalla sua casa pugliese dell’infanzia agli studi universitari, dai primi incarichi politici alla partecipazione all’Assemblea Costituente e poi alla lunga carriera nelle istituzioni fino alla traumatica conclusione con la scia di misteri – e degli oscuri attori dietro le quinte – che ne seguirono. A parte qualche tono agiografico che si ritrova qui e là, emerge prepotente la ricchezza del pensiero di Moro che con lucida preveggenza intravedeva i rischi di un indebolimento e progressivo sfaldamento dei partiti di massa e del tessuto democratico e solidale, sostituiti dopo qualche anno dal leaderismo di Craxi e ancora di più di Berlusconi. Il sottotitolo del libro – “La fine della politica in Italia” – è in questo senso molto appropriato e tristemente attuale.
La cronologia storica dei fatti narrati è puntuale e lucida, anche se leggermente pomposa - se fosse stata più sintetica sarebbe stato meglio - l'autore è un ottimo giornalista, ci sarebbe riuscito alla grande. Mi ha fatto rivivere gli anni '70. Probabilmente abbiamo condiviso le stesse letture, fumetti, programmi televisivi, interessi di quell'epoca anche se sicuramente è andata meglio a lui; Marco è un bravo "ragazzo", è anche un discreto romanziere. Buon libro in generale.
Recensioni
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