C’è un detto, che da molti decenni circola fra i musicisti e gli appassionati, secondo cui “il jazz va consumato caldo”. Quindi dal vivo (avvenga su di un palco di un festival estivo, in un prestigioso teatro o – meglio ancora, come nel caso di cui parliamo – nell’arroventata atmosfera di un jazz club) il jazz più autentico, più “vero” si avvantaggerebbe dell’interazione del pubblico, il quale a sua volta riceve il privilegio di assistere ad una creazione estemporanea, di vivere un’esperienza irripetibile. Tutto bene. Ma non si può essere ubiqui, e quindi arriva la registrazione “live” a restituirci quelle atmosfere, quelle emozioni, quegli istanti altrimenti destinati a “perdersi nell’aria” per sempre, come ebbe a dire Eric Dolphy. E qui troviamo catturato proprio uno di quei momenti magici, protagonista il trombettista Donald Byrd (il più registrato della storia del jazz, pare) in compagnia di un irrefrenabile Pepper Adams (il più dotato fra gli hard bopper in grado di padroneggiare l’enorme sax baritono), di Duke Pearson (lo ricordate al pianoforte nel quintetto di Charlie Parker?), di Laymon Jackson al contrabbasso e di un ottimo Lex Humphries alla batteria. Primo set di una giornata memorabile del 1960 nel celebre club di New York, questa è una impeccabile quanto pionieristica registrazione dal vivo in stereo: quasi inutile chiedersi chi fosse in grado di realizzare con pieno successo un’impresa del genere più di sessant’anni fa, perché tutto porta al nome di Rudy Van Gelder.)
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