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Il romanzo è "potente", è un vero capolavoro del naturalismo francese, anche se non mancano alcune cadute romanticheggianti. Il vero problema dell'edizione BUR è la traduzione, che andrebbe rivista, aggiornata e resa più moderna. Soprattutto andrebbero corretti i nomi, sia perché alcuni sono sbagliati (il figlio di Gervaise non si chiama Stefano nell'originale), sia perché è assurdo italianizzarli.
In questo libro, in alcune parti finali, sfugge al grande scrittore il controllo del sentimento e vi sono accenti romantici che non mi aspettavo. Come nel XII capitolo, quando la sfortunata protagonista Gervaise viene presa da una profonda disperazione. Ma lo stile che innalza il libro al livello di capolavoro resta incontaminato: la misura vi detta legge. Anche qui Zola rende immortali scorci di una Parigi che gli deve molto della sua popolarità nel mondo. La descrizione del lavatoio dove si recano le lavandaie e dove si intrecciano liti e pettegolezzi ne è un esempio. È l'apertura del libro. Memorabile è anche, nel VI capitolo, la descrizione della fabbrica dei chiodi dove lavora il bel Goujet, qui è titanica la sfida tra il giovane ed un compagno di lavoro, per forgiare un enorme chiodo, davanti ai begli occhi di Gervaise. Parigi sotto la neve, con Gervaise che gira disperata nella notte per prostituirsi nella speranza di alleviare così i morsi della fame, è una pennellata che fa dimenticare, nel XII capitolo, i piccoli cedimenti del cuore. Con Zola, le miserie e le sofferenze del proletariato acquistano dignità e s'innalzano a protesta universale di uno sfruttamento dell'uomo, che ancora oggi, sebbene attenuato, permane.
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