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L' assenza e la voce. Scena e intreccio della scrittura in Christina Rossetti, May Sinclair e Christine Brooke-Rose - Maria Del Sapio Garbero - copertina
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L' assenza e la voce. Scena e intreccio della scrittura in Christina Rossetti, May Sinclair e Christine Brooke-Rose - Maria Del Sapio Garbero - copertina
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1991
1 gennaio 1991
344 p.
9788820719395

Voce della critica

SINCLAIR, MAY, Storie fantastiche, L'Argonauta, 1992
SINCLAIR, MAY, L'incrinatira nel cristallo. Storia fantastica, L'Argonauta, 1991
DEL SAPIO GARBERO, MARIA, L'assenza e la voce, Liguori, 1991
recensione di Villa, L., L'Indice 1993, n. 8

Curando la traduzione delle "storie fantastiche" di May Sinclair (1863-1946), e collocando questa scrittrice inglese all'interno di un percorso femminile che va dall'Ottocento ai giorni nostri, Maria Del Sapio ha compiuto senza dubbio un'operazione critica di rilievo. Essa segnala all'attenzione dei lettori italiani un'importante personalità di raccordo tra la narrativa vittoriana e lo sperimentalismo del Novecento, sulla quale ha gravato a lungo l'ingiustificato oblio delle storie letterarie e dell'editoria. I conflitti inerenti alla soggettività femminile, e alla definizione di sé dell'artista donna, sono centrali nella riflessione di May Sinclair. Tra le prime a intuire la possibilità di una produttiva alleanza tra pensiero femminile, scrittura e psicoanalisi, Sinclair si colloca infatti all'inizio di una tradizione intellettuale significativa del nostro secolo, la stessa cui attinge di preferenza Del Sapio. "L'assenza e la voce" costruisce, infatti, l' ipotesi di una linea evolutiva portante del modernismo femminile inglese, dalla figura precorritrice di Christina Rossetti a quella postmoderna di Christine Brooke-Rose.
Va notato che il percorso critico di Maria Del Sapio non muove dalla narrativa vittoriana a quella modernista: esso sceglie di misurare la posizione di May Sinclair su quella di un soggetto poetico che si defin proprio scartando con ostinazione il modello rappresentato dal femminile vittoriano "classico". A questo femminile (a questa madre) che è ovviamente una costruzione ideologica, Christina Rossetti ha di fatto già sovrapposto un'altra immagine della madre: una madre-natura, groviglio di pulsioni, desideri, funzioni biologiche, da cui bisogna distanziarsi per crescere, entrare nell'ordine simbolico, sentirsi - insomma - soggetti. Ciò che questa madre lascia in eredità alle figlie non è un patrimonio "forte" di identità con cui negoziare il proprio appaesamento nel mondo, ma un troppo di corporeità che pare sempre ostacolare l'iter emancipante della maturazione, cui sovrintenderebbe la figura paterna. L'"intreccio della scrittura" della poetessa vittoriana scaturisce, quindi, da una doppia e inconciliabile direzione della ricerca di sé della donna presa tra la propria originaria identificazione materna (la nostalgia della "voce") e la potente ingiunzione culturale che le chiede di abbandonarla. Compito storico delle donne moderniste sarà quello di provare ad allentare il nodo della contraddizione, riattivando la comunicazione tra coscienza e inconscio, spirito e materia (o materialità), razionalità e 'jouissance', simbolico e semiotico, immaginando questa apertura come dialogo tra due istanze sessuate, il padre e la madre, rappresentanti rispettivamente "il senso e ciò che come assenza gli manca". Un po' tutto lo sperimentalismo modernista muoverebbe - secondo Kristeva - nella stessa direzione, "prova[ndosi] attraverso le pulsioni materne in una 'debolezza' dell'essere". Lo specifico del modernismo femminile starebbe, allora, nella particolare conflittualità del rapporto madre-figlia, nelle ansie maggiori (e nella maggiore necessità) dell'apertura all'alterità di una madre che non è - n‚ può essere mai - sicuramente "altra".
È attraverso l'analisi della narrativa di May Sinclair che Del Sapio ricostruisce - in particolare - le pieghe di questa conflittualità e il modo in cui la sua pressione porta la soggettività femminile a definirsi da una parte mediante il confronto con la cultura paterna e i suoi vari rappresentanti, e dall'altra affrontando senza schermi le tensioni del "corpo a corpo" con la madre. Ciò che emerge da questo itinerario è intanto una rilettura femminile dei 'Kunstlerroman', che alla linearità della 'Bildung' classica sostituisce un incedere a spirale, un moto ondulatorio. Esso è il correlato della storia di un'identità di donna "altalenante fra le determinazioni biologiche del femminile e le spinte assertive di un io creativo e ribelle, tra le paure storiche di un corpo sessuato e le esultanze intellettuali di una mente libera e sicura delle sue possibilità, fra l'attrito frenante del corpo materno e l'affrancamento consentito dall'ordine simbolico". A questa struttura narrativa corrisponde una scrittura intesa come rituale orfico della memoria: attraverso il suo operare la coscienza torna sui nodi del rapporto con la madre per sciogliere la presa paralizzante che essa esercita su di noi, permettendoci così di allontanarci da lei, crescere, cambiare. La scrittura sarebbe insomma una specie di "terapia", "luogo di un confronto doloroso con l'origine che permette di conservare nel linguaggio la memoria della perdita".
A fronte di questa ostinata equazione di madre e biologia è inevitabile che il soggetto femminile della creazione artistica e della produzione culturale sia portato a definirsi in termini di androginia, a immaginarsi - come dice Del Sapio - difficile compresenza di Orfeo e Euridice: passione "sublimante'' di canto, io e trascendenza, da una parte, e dall'altra ciò che congiura a trattenerci nel regno dei morti. Questo spiega perché l'esperienza femminile imprima all'antagonismo 'fin de siècle' di arte e vita un doloroso "giro di vite", che "L' assenza e la voce" finemente sottolinea: il "femminile" della sperimentazione maschile è "solo l'astratta idea di passiva fertilità", coltivata nello spazio separato dell'arte; quello che dimora all'interno dell'artista donna è la pesantezza del suo corpo sessuato, la presenza della madre dentro di lei, che richiede un carico doloroso di rinuncia e ascesi per poter liberare il genio (maschile) e permettergli di creare. Da qui, la rinuncia all'amore che conclude l'iter formativo della paradigmatica Mary. Come l'effettiva, terapeutica sublimazione del materno pare poter avvenire solo dopo la morte della madre, così la riattivazione del dialogo col corpo coincide con la sua totale "bonifica", e con l'opzione mistica: l'idea di poter veramente possedere tutte le cose attraverso la loro assenza.
A tali esiti dell'esperienza primomodernista femminile sembrano collegarsi, in particolare, le più interessanti tra le "storie fantastiche" ("L'incrinatura nel cristallo", "Se il fuoco non si è spento", "La natura dell'evidenza", "La scoperta dell'assoluto"). Ciò che colpisce in esse è l'inesorabilità con cui il progetto di riannessione del materno, concepito da un'artista tanto interessata alla questione femminile, finisce per approdare alla creazione di un universo fantastico in cui di corpo e 'jouissance' ce ne sono veramente pochi. Vi regna un'istanza intransigente che, in nome dell'"assoluto" (la passione per il bello, per il vero, per l'amore - assoluto appunto -, che dura oltre la morte), castiga per lo più le eroine per ogni loro desiderio volgare. E volgare è qui ciò che ha a che fare col sesso e il possesso, con ogni attaccamento che non sia completamente disinteressato. Proprio come in Henry James, magistrale narratore di fantasmi e rinunce 'fin de siécle', dalla cui lezione, in particolare, "L'incrinatura nel cristallo" è profondamente segnato nel titolo, nelle dinamiche dei misteriosi passaggi di energie da un personaggio all'altro, giù giù fino all'elusività e a un certo modo di strutturare la frase. Quanto più la soggettività femminile modernista aspira all'assoluto, tanto più pare restare impigliata nella pania di ciò che è storicamente condizionato: il modello dei padri autorevoli, ad esempio, o l'idea tradizionale di un femminile rinunciatario e ablativo, di cui la filosofa Sinclair, paladina dell'idealismo, finisce a tratti per esacerbare il rigore. Segno questo che qualcosa nel progetto orfico di sublimazione del materno è andato storto, e che la madre-Euridice, morta come soggetto e trasformata qui in una metafisica "Energia", non è affatto un vuoto, un'assenza, bensì una presenza persecutoria e cattiva.
Insomma, quel che emerge dai risvolti mistici della narrativa e della riflessione di May Sinclair è la difficoltà di una fondazione del soggetto femminile sull'idea della madre-corpo, antagonista nel processo di individuazione. Negli ultimi anni, le donne hanno lavorato proprio anche per denaturalizzare questa immagine della madre, evidenziando la sua matrice edipico-maschile (si pensi ai contributi di E. Fox Keller e J. Benjamin) e cercando di privilegiare altre figure del materno capaci di sostenere attivamente l'accesso femminile alla cultura. La scrittura critica di Maria Del Sapio sceglie, invece, di restare interna allo scenario modernista, indugiando sulle sue contraddizioni ma aderendo in ultimo al suo limite storico: il gesto, tradizionalissimo nella cultura patriarcale, che associa il femminile all'altro dal senso, a ciò che turba (ovvero rivitalizza, "dialogizza") l'ordine del padre e che - in quanto privo di autorità simbolica - è necessariamente incapace di fondare un ordine proprio. Un tale gesto si fonda sulla cancellazione difensiva del soggetto madre e condanna a un cospicuo fraintendimento tutta la vicenda (di invidia, rivalità e colpa, ma anche amore, ammirazione, gratitudine, riparazione...) che riguarda la complessa contrattazione dell'identità (di tutti/e) a fronte di quella materna.
A tale proposito, è opportuno ricordare come davanti ai virili asceti della forma e ai sofisticati giocolieri della parola (davanti, cioè, agli eroi del modernismo) non vi fossero apatiche casalinghe prive di io e cultura, ma - "L'assenza e la voce" lo sottolinea molto bene - figure di intellettuali brillanti e narratrici di successo (come fu appunto May Sinclair) prolifiche e invidiate eredi di una già ricca tradizione di scrittura femminile. È dell'antico risentimento nei confronti dell'autorità e della (pro)creatività materna che si alimentano le ideologie con cui il soggetto maschile della cultura modernista, prodotto di un patriarcato in crisi, mistifica la propria debolezza. Costretta da sempre a definirsi attraverso mediazioni maschili, e a suo modo partecipe di quel risentimento, la soggettività femminile non poteva evitare di rimanervi invischiata. Studi come quello di Maria Del Sapio sono essenziali per capire le dinamiche, i conflitti e le compensazioni inerenti a tale collusione; immagini diverse della madre sono tuttavia necessarie oggi per riuscire davvero a sottrarvisi.

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