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Descrizione


Aspenia, la rivista trimestrale di Aspen Institute Italia diretta da Marta Dassù, è stata fondata nel 1995 e, dal 2002, è pubblicata da Il Sole 24 Ore. Al numero in uscita “Giochi di pace e di guerra” hanno contribuito tra gli altri Andrea Goldstein, Antonio Missiroli, Eva Cantarella, Ettore Miraglia, Simon Chadwick, Sushmita Pathak, Silvia Camporesi, Stefano Pontecorvo, Nathalie Koch, Patrick Clastres, Maria Rita Pierleoni, Daniele Popolizio. Per Aspenia esistono due modi di guardare alle Olimpiadi. Il primo come metafora di una sorta di geopolitica sportiva: i giochi di pace avvengono oggi in tempi di guerra. I conflitti scatenati dall’invasione russa dell’Ucraina e dall’attacco di Hamas a Israele continuano sotto i riflettori, quelli che insanguinano altre regioni del mondo come Sudan, Yemen, Siria lo fanno nell’oblio generale. Per quanto si possano amare le Olimpiadi, lo sport non può avere un potere salvifico e non può realizzare ciò che la politica non riesce a ottenere. Il secondo modo è quello dell’economia: i Giochi pongono ovviamente il quesito ineludibile del rapporto costi/benefici. Le spese sono sempre lievitate, diventando un fardello per il paese ospitante. In molti casi, gli investimenti nelle infrastrutture sportive hanno lasciato in eredità “elefanti bianchi”. Nonostante tutto, però, gli interessi nazionali e i benefici intangibili prodotti dalle Olimpiadi non hanno una natura pienamente quantificabile. Le Olimpiadi francesi si tengono in un momento politicamente importante e rischioso per l’UE: l’edizione 2024 è sicuramente un “case in point”. Ed è, quindi, una sfida da vincere: non solo per gli atleti migliori, ma per la credibilità dell’Europa. Per quanto si possano amare le Olimpiadi, è chiaro che lo sport non può avere un potere salvifico, né è ragionevole – e forse nemmeno lecito – chiedere allo sport di realizzare ciò che la politica non riesce a ottenere. Come per ogni mega evento, i Giochi pongono ovviamente il quesito ineludibile del rapporto costi/benefici. Con un quadro deludente, perché i costi sono sempre lievitati, diventando un fardello per il paese ospitante, e perché in molti casi gli investimenti nelle infrastrutture sportive hanno lasciato in eredità “elefanti bianchi”. Vale anche qui l’analogia con la politica internazionale: le ragioni del prestigio e del soft power sovrastano spesso le considerazioni strettamente economico-contabili. Gli interessi nazionali e i benefici intangibili prodotti dalle Olimpiadi non sono misure oggettive e non hanno una natura pienamente quantificabile. Lo sport professionistico e la sua monetizzazione attraverso gli sponsor e i mezzi di comunicazione sono una forma di globalizzazione che però non ha mai “deciso” se essere un processo di espansione dei valori occidentali o diventare un suo superamento. È, quindi, rimasta in mezzo al guado e vive oggi una sua frammentazione, che potrebbe riflettersi sui Giochi del futuro. Le Olimpiadi francesi si tengono in un momento politicamente importante e rischioso per l’UE, subito dopo il voto per il Parlamento europeo e prima dell’insediamento della nuova Commissione, ma anche in un contesto internazionale che vive crisi acute e che verrà fortemente condizionato dall’esito delle elezioni americane. Dato il livello di ambizione diplomatica che la Francia ha sempre avuto, è chiaro che i Giochi sono visti da Parigi come la manifestazione di un modello organizzativo e di una “way of life” franco-europea. Al di là della forte simbologia delle Olimpiadi alcuni ingredienti essenziali del “modello europeo” vanno però oggi profondamente ripensati. L’imperativo della difesa comune dovrebbe logicamente produrre una forte spinta a
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9791254834879
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