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Anno edizione: 2018
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Ici, qui. Solo questo stava scritto sul campanello dell'atelier di Picasso in Rue des Grands Augustin. Arroganza? Impertinenza? Forse. Del resto, se qualcuno saliva quelle scale, per chi mai avrebbe dovuto farlo se non per Picasso, l'unico artista del Novecento capace di costruirsi come mito non da morto, non da vecchio, ma nel pieno della sua vita? Tra i pochi a non lasciarsi sfiorare dall'idolatria collettiva, c'è Brassaï, abituato a entrare e uscire da quello e da tanti altri studi. Appunta questo particolare come ne appunta tanti altri: per lui è una nota a margine, un'informazione, neanche un aneddoto. Questo è un libro strano e bellissimo. Strano perché dissimula la complessità in una disarmante semplicità. Bellissimo perché lo sono le immagini, le storie e le persone che lo abitano. La prima cosa che stupisce è l'assenza di stupore della voce narrante. Assenza di stupore, non di attenzione, stima, acume. L'impressione, leggendo, è quella di seguire passo a passo un uomo di grande intelligenza, visiva e non solo, che se ne va a spasso e chiacchera con degli amici, entra e esce nelle loro case, nei loro studi, nelle loro vite. E gli amici si chiamano Henri Matisse, Pablo Picasso, Joan Miró, Le Corbusier, Salvador Dalí, Raoul Dufy, Alberto Giacometti e via discorrendo Incontra, insomma, nelle sue passeggiate le menti migliori della sua generazione. Porta con sé una macchina fotografica, ma a guardare le foto che fa non è subito evidente cosa abbia in mente di rappresentare. Certe volte un'opera, o un insieme di opere, altre un ritratto, altre ancora un incontro tra amici, magari l'angolo di una casa, o la vista fuori dalla finestra, delle bambine che giocano Sembra divagare con lo sguardo, ma poi ci si accorge che in realtà il suo occhio sta frugando nel mondo delle persone che incontra, e così facendo si prepara a mettere in scena il loro immaginario. Dufy gli piace, e anche molto, ma non si capacità del perché un artista così dotato perdesse "tanto tempo in disegni di moda e arredamento". Ed eccolo ritratto seduto come un aristocratico, avvolto in un giacca elegante, più da dandy che da artista. Matisse racconta di non poter fare a meno dei modelli viventi, al punto che per questo da giovane, non potendosi permettere di pagarli, aveva frequentato l'accademia. Amava anche i colori degli uccelli tropicali. Ecco che voliere e sinuosi corpi femminili entrano di prepotenza nelle fotografie, spingendo l'artista e i suoi quadri ai bordi dell'immagine. Brassaï non è solo un bravo fotografo: è anche capace di ascoltare, e di conversare. La consuetudine e l'intelligenza gli consentono di entrare e attardarsi nel mondo delle persone che ritrae, di conoscerle intimamente e affettuosamente, e dunque di raccontarle. Con le parole e con le immagini. Confidando in questo modo anche un pezzo della sua vita. A guardarle una di seguito all'altra, e leggendo i testi che le accompagnano (o sono le fotografie ad accompagnare i testi?), questa raccolta di immagini assume le sembianze di un reportages nella sua stessa autobiografia, o, se preferiamo, dell'autoritratto di uno sguardo. Ma la sua non è un'operazione a senso unico: "Ai primi di giugno del 1939 ricevetti la visita di una giovane donna, mi recava un messaggio di Matisse. Desiderava che lo fotografassi insieme a quella modella mentre posava per lui". "Brassaï, fotografami in questa posizione ", gli domanda in un'altra occasione Giacometti. "È libero di fotografare tutto quello che vuole, tranne la mia faccia",chiede invece Pierre Bonnard, quando Brassaï, nell'agosto del 1946, suona alla sua porta al Canneto. Questo per dire che se è vero che per Brassaï questi reportages sono un modo per raccontare la sua storia, è altrettanto vero che non sono poche le situazioni in cui i ruoli quasi si invertono, e tocca a lui prestare la sua macchina fotografica allo sguardo dell'altro. Dalí parla di sé in terza persona, si considera il "personaggio" Dalí. Dice: "Io mi vesto sempre da Salvador Dalí: non mi umilio portando gli abiti dei comuni mortali". Ed eccolo che campeggia in una fotografia, splendido, in uno dei suoi travestimenti, con una nassa da pescatore in testa, come Ercole con il globo terrestre. Oltre a se stesso e alla sua arte, Dalí amava Gala e il paesaggio di Cadaqués: va da sé che anche loro finiscano per diventare i protagonisti di alcune fotografie. Passeggia con Miró nelle strade di Barcellona, quelle "che più amava della sua città natale e soprattutto quello che più profondamente avevano influenzato la sua arte". È lì che lo ritrae, anzi: fotografa i luoghi di Miró e in cui Miró altro non è che una comparsa sullo sfondo. Fotografa il suo mondo. Insomma, viene da chiedersi, chi è davvero il ritrattista e chi il ritrattato? O, in altre parole, chi agisce la fotografia? E cosa ritraggono questi ritratti? Ogni risposta scivola nel suo contrario. L'unica cosa certa è che quanto si va mettendo a fuoco non è solo un documento, non è solo un'opera d'arte, ma una sorta di fabbrica dello sguardo. Questo libro è a un tempo il primo e l'ultimo di Brassaï. Pubblicato per la prima volta nel 1982, era in realtà iniziato nel 1933, quando a un giovane fotografo di origini ungheresi e parigino d'adozione, vengono commissionate una serie di foto degli atelier di alcuni pittori e scultori, prima per la rivista "Minotaure" di Albert Skira e poi per "Harper's Bazaar". È l'inizio di una storia il cui finale è questo straordinario autoritratto di gruppo in bianco e nero. Maria Perosino
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